Carlo Verdone è un attore italiano, regista, creatore, scrittore, sceneggiatore, è nato il 17 novembre 1950 a Roma (Italia). Carlo Verdone ha oggi 73 anni ed è del segno zodiacale Scorpione.
Un giorno del 1980, era appena estate, Sergio Leone pregò Oreste del Buono e me di andare da lui: doveva farci vedere, disse, «qualcosa di speciale». Leone aveva una casa romana all'Eur ricca e poco simpatica, con prati scintillanti, saloni, sala di proiezione, divani da tycoon americano. «Qualcosa di speciale» era Carlo Verdone, del quale Leone aveva in parte finanziato il primo film Un sacco bello; speciale davvero, era molto divertente, intelligente, sicuro, con una punta di malinconia, come sarebbero stati poi tutti i suoi film. Il secondo, Bianco; rosso e Verdone, visto di recente alla televisione (personalmente lo rivedevo per la sesta o settima volta, sempre con lo stesso piacere), altrettanto divertente e bello, inaugurava certe sue battute proverbiali quali più tardi «famolo strano»: la frase rivolta da un marito insopportabilmente pignolo a una moglie che non ne può più, «Mi adori? Allora lo vedi che è reciproco?».
L'ultimo film, il corale Manuale d'amore, è uscito da poco con molto successo. Verdone vi recita un medico che è stato tradito e lasciato dalla moglie dopo nove anni di matrimonio, che tenta di andare con un'altra donna e di suicidarsi, che forse incontra la persona giusta. È grande, grandissimo. Tutte le sue disavventure ridicole alla Fantozzi si mutano in guai che suscitano compassionevole tenerezza, il dolore dà alla sua faccia un'espressione desolata e stanca, si vorrebbe ridere e piangere insieme di una bravura che ha raggiunto tali livelli.
Ha cinquantaquattro anni, adesso. È un po' troppo grosso, e non più tanto allegro. Come molti comici è ipocondriaco, sempre timoroso d'essere malato, sempre pronto a prendere farmaci; e ha, in forma leggera, diversi tipi di nevrosi. La sua carriera è stata lineare e fortunatissima diploma di regia al Centro Sperimentale, cabaret televisione, film che piacciono sempre molto (Borotalco, Acqua e sapone, Compagni di scuola, Viaggi di nozze, Io e mia sorella, Maledetto il giorno che t'ho incontrato, Perdiamoci di vista). Il pubblico lo segue, lo applaude. Come comico romano, è meno portato all'analisi sociale e meno malvagio di Alberto Sordi, ma altrettanto bravo. Soltanto, non deve scoraggiarsi, come ogni tanto gli capita: non ci può tradire né lasciare soli, gli siamo troppo grati, gli vogliamo troppo bene.
Da Lo Specchio, 16 aprile 2005
Quando Sergio Leone lo invitava a casa sua-per far conoscere una scoperta di cui aveva in parte prodotto il primo film Un sacco bello, Carlo Verdone aveva trent’anni (era il 1980) e sembrava un burocrate cinquantenne insicuro, bislacco, spaventato. Adesso ha cinquantaquattro anni e sembra un bambino simpatico, perplesso, vitale: nel suo diciannovesimo film dal titolo rassegnato o desolato, L’amore è eterno finché dura è sposato da una vita con la psicologa Laura Morante, s’innamora di Stefania Rocca, si chiede cosa fare quando l’amore coniugale svanisce, come conciliare l’emozione del desiderio e la pace della stabilità.
Naturalmente a simili domande non esiste risposta, e infatti non si risponde. C’è però un dilemma anche più ardito: come ha fatto Verdone a incantare il suo pubblico recitando sempre o quasi un personaggio di uomo vittima delle donne? Della sua bravura, del suo grande talento comico, della capacità di cogliere con acume persone o situazioni della realtà condensandoli in personaggi irresistibili, non c’è molto da dire: li conosciamo bene, hanno ricevuto tutti i possibili premi e riconoscimenti. Ma il suo harem cattivo? Ornella Muti strafottente e fantasiosa in Stasera a casa di Allce o in Io e mia sorella Margherita Buy intossicata e crudele in Maledetto il giorno che t’ho incontrato, Asia Argento paraplegica proterva in Perdiamoci di vista!, Eleonora Giorgi scafata e indifferente in Borotalco, Francesca Neri altera e sprezzante in Al lupo, al lupo, Natasha Hovey indifferente e doppia in Acqua e sapone: tutte si sono trovate di fronte un personaggio cinematograficamente insolito. Un uomo timido, buono, generoso sin dall’inizio oppure che diventava tale nello svolgersi della vicenda, un uomo disposto a farsi maltrattare, sfruttare o proiettare nei guai più fastidiosi, un uomo capace di subire con pazienza ogni angheria o prepotenza, un uomo-vittima amabile e non amato.
Ammirato e apprezzato dagli spettatori, però: e chissà qual è la ragione del successo di questo antieroe antiromantico che Carlo Verdone ha sempre recitato benissimo e continua a impersonare. Forse piace agli uomini perché riscatta i deboli avviliti dalle donne. Forse piace alle donne perché le fa sentire padrone, più intelligenti e spiritose, di carattere più forte. Forse piace ai giovani perché permette loro di considerarsi superiori, e piace agli anziani perché ne comprendono la remissività. Certo l’uomo-vittima Carlo Verdone piace, piace.
Da Lo Specchio, 28 febbraio 2004
A 55 anni Charlie Chaplin aveva da poco girato Il grande dittatore e meditava un capolavoro come Monsieur Verdoux, Buster Keaton era un relitto umano ed artistico costretto a dire una sola battuta (“passo”) al tavolo da poker di Viale del tramonto e Alberto Sordi riprendeva, un po' stancamente, il personaggio dell'americano a Roma” Nando Morioni in Di che segno sei? (ma aveva in canna ancora alcune grandi prove: due anni dopo, ad esempio, il borghese piccolo piccolo. A 55 anni Carlo Verdone sta girando un film con Silvio Cuccino, e il loro set itinerante è, spesso una simpatica scoperta per i passanti romani. 55 anni. Curiosa età, tonda ma non tanto, importante ma nemmeno tanto. Dipende dalle circostanze, e dalle vite. Richiamate alla memoria la scena, appena citata, di Viale del tramonto. Buster, ricordate?, sembra un ottantenne, come le altre mummie che lo circondano. Chaplin, invece, nel Grande dittatore, pare un ragazzino, soprattutto quando interpreta il barbiere ebreo che è un diretto discendente del suo immortale Vagabondo. Sordi, in Di che segno sei? è un uomo maturo che si sforza di sembrare ancora giovane, ma nel Borghese è truccato da vecchio in modo molto verosimile. A 55 anni si può essere ex ragazzi o aspiranti babbioni Carlo Verdone è più vicino alla prima di queste due tipologie: del resto in Manuale d'amore ha interpretato, in modo spassoso, un imbranato sentimentale molto “adolescenziale”. Il suo trasformismo non lo ha mai identificato con una generazione: quando faceva l'hippy in Un sacco bello doveva truccarsi “da giovane”, e nella stessa scena interpretava anche il prete senza alcuno sforzo apparente. Carlo è sempre stato uno, nessuno e centomila, e mutando da film a film, e dentro i singoli film, ha sempre dato il meglio di sé. Quando invece ha voluto marcare i propri personaggi in senso generazionale e realistico, è diventato più “serio” ma meno comico (pensiamo al tour de force di Compagni di scuola, film di bilancio di una squadra di personaggi - e di attori, perché lì c'era veramente il meglio di una generazione che si avviava ai 40 con un discreto fardello di ansie e di incertezze). Quest'ultima considerazione racchiude un giudizio che in realtà - ammettiamolo - è un pregiudizio: noi adoriamo il Verdone comico e siamo meno entusiasti di fronte al Verdone malinconico, e questo a lui dispiacerà, perché dietro ogni commediante si nasconde un aspirante Re Lear e un cineasta a tutto tondo ha il diritto di sperimentare, di rischiare, di provare vie diverse da quelle che l'hanno portato al successo. Carlo ci ha provato in molti modi: concentrandosi sulla regia, abbandonando le caratterizzazioni più grottesche, facendosi da parte e lasciando il ruolo di protagonista, o co-protagonista, ad altri. Ma è davvero una colpa grave se, alla parola “Verdone”, pensiamo alle grasse risate che Carlo ci ha regalato lungo gli anni? Saremo limitati e retrogradi, ma la memoria va al povero ragazzotto romano che deve scarrozzare in lungo e in largo la spagnola Marisol in Un sacco bella: la descrizione del gibbone è, per noi, un punto di non ritorno. Oppure, al di fuori dei film, ci viene in mente un'occasione pubblica - non ricordiamo quale, né dove, ma erano gli anni ‘80, o giù di li - in cui Carlo, raccontando i suoi esordi, ricordò il ruolo di produttore/tutore che ebbe per lui Sergio Leone e si lanciò in una strepitosa imitazione del papà del westem italiano. Leone era un patriarca trasteverino con una “calatà” romanesca indimenticabile per chiunque lo avesse conosciuto, e Carlo riusciva a restituirlo perfettamente, “diventava” lui e ne ricreava le pause, i toni al tempo stesso paterni e dittatoriali. In un'altra occasione ha raccontato un episodio avvenuto su1 set di Un sacco bello. Erano in un vero appartamento, a Trastevere, e Carlo doveva girare la scena della telefonata alla nonna, doveva essere sudato e affannato. Leone, che era sul set, gli consigliò - ma si potrebbe dire: gli ordinò - di farsi due giri di corsa del palazzo, salire le scale a piedi e girare immediatamente, per avere il giusto fiatone. Era estate. Si scoppiava dal caldo. Carlo scese, fece due passi e risalì: correre davvero intorno al palazzo gli sembrava un'esagerazione alla Stanislavskij, il fiatone si può simulare, siamo o non siamo attori? Leone gli diede uno scappellotto davanti alla troupe e gli disse: «A fio de ‘na mignotta, nun fa er furbo con me. Stavo alla finestra e nun t'ho visto passà. Scendi e corri». Carlo scese e corse. Chissà se in questi giorni sta facendo correre Silvio Muccino?
Da Film Tv , n. 46, 15 novembre 2005