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The Smashing Machine, oltre il realismo

Nel segno dei migliori biopic sportivi sui losers, Benny Safdie ripercorre la parabola sportiva e umana del campione di arti marziali miste Mark Kerr. Al cinema.
di Simone Emiliani

sabato 22 novembre 2025 - Focus

La caduta degli dei. Così viene mostrato Mark Kerr, una leggenda delle arti marziali miste (MMA) da Benny Safdie, al suo primo lungometraggio per il cinema senza il fratello Josh. Il ring è solo una parte della sfida, quello che lo mette a nudo, che rivela le sue debolezze. The Smashing Machine, ambientato tra il 1997 e il 2000, simula un approccio documentarista per mostrare la vita del lottatore tra immagine pubblica e dimensione privata. Dwayne Johnson, in un grande ruolo drammatico che richiama anche la grande prova di Adam Sandler in Diamanti grezzi, diretto proprio dai fratelli Safdie, si immedesima completamente nel personaggio con una performance mimetica in linea con il secco realismo dei migliori film sportivi; per interpretare la figura di Mark Kerr, l’attore ha dovuto svolgere perdere circa 30 Kg. In più, prima delle riprese, ogni giorno ci sono volute circa tre/quattro ore per truccarlo, Infine il suo volto è stato ricoperto da 21 protesi grazie al lavoro del truccatore prostetico Kazu Hiro, premio Oscar per L’ora più buia (guarda la video recensione) di Joe Wright e Bombshell. La voce dello scandalo (guarda la video recensione) di Jay Roach.

Questa trasformazione fisica è simile a quella a cui si è sottoposto anche Christian Bale per interpretare l’ex-pugile Dicky Eklund diventato poi tossicodipendente in The Fighter. Robert De Niro, al contrario, per entrare nei panni di Jake LaMotta in Toro scatenato, è invece ingrassato 30 Kg. A sua volta Russell Crowe, per il ruolo del campione dei pesi massimi James Braddock in Cinderella Man, Una ragione per lottare, si è sottoposto per mesi ai durissimi allenamenti di Angelo Dundee, l’ex coach di Muhammad Alì e ne ha riprodotto in modo perfetto la tecnica, con i colpi da corta distanza, lo spirito di sacrificio e la capacità di resistenza nel match. 

Safdie conosce benissimo le regole del biopic sportivo. Come in Martin Scorsese e Ron Howard, la parabola sportiva scorre parallelamente a quella umana. Sotto questo aspetto, a questi titoli ci si può aggiungere anche la saga di Rocky proprio per come mostra la dimensione umana del personaggio e non solo quella agonistica. Con una sola differenza: Kerr, La Motta e Braddock sono figure realmente esistite, mentre Rocky Balboa è un personaggio immaginario anche se l’immedesimazione e l’intensità con cui lo ha portato sullo schermo Sylvester Stallone ce lo ha fatto percepire come se fosse esistito realmente. 


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Attraverso il corpo di Dwayne Johnson Safdie è entrato nella testa di Mark Kerr. Lo ha fatto in modo così credibile che è riuscito a superare anche la distanza anagrafica; l’attore aveva infatti circa 52 anni quando ha girato il film mentre il lottatore di arti marziali, all’epoca in cui è ambientata la vicenda, ne aveva circa 30. Il cineasta è riuscito a superare questa barriera perché ha costruito la sua interpretazione non solo sul gesto fisico ma per come ha reso autentico il suo inferno familiare con i frequenti scontri con la compagna Dawn dove Emily Blunt torna a recitare al fianco di Dwayne Johnson dopo Jungle Cruise di Jaume Collet-Serra. La scena della tensione che sale dopo che lei ha sbagliato gli ingredienti del frullato e il litigio furioso dopo che la donna ha capito che Mark non la vuole con sé in Giappone per il Pride Grand Prix del 2000 mostrano un realismo disperato nel segno di John Cassavetes.

The Smashing Machine ha certamente puntato alla verità della storia e probabilmente è stato importante, nella costruzione del ritratto del personaggio, il documentario The Smashing Machine: The Life and Times of Extreme Fighter Mark Kerr realizzato da John Hyams nel 2003 e la presenza, tra gli altri, dei campioni di arti marziali miste statunitense Ryan Bader nel ruolo di Mark Coleman e Bas Rutten in quello di se stesso e del pugile ucraino Oleksandr Usyk. Ma soprattutto ha avuto l’obiettivo di mostrare la sua fragilità dietro l’immagine pubblica proprio come aveva fatto Darren Aronofsky con Randy in The Wrestler. Dwayne Johnson diventa così quasi un doppio di Mickey Rourke. Entrambi si portano i segni della sofferenza sul volto e lasciano avvertire la paura di non farcela. Di Kerr, Safdie mette in evidenza anche la sua dipendenza dagli antidolorifici, quella che per un po’ gli permette di combattere durante il match. Poi c’è la rassegnazione. Così il cineasta mostra un altro lato di come il cinema può mostrare la sconfitta, come la rapina andata male di Good Time, firmato da Benny col fratello Josh. La storia a questo punto va in secondo piano e prende il sopravvento la caduta e l’illusione di una nuova rinascita di Mark Kerr, nella migliore tradizione dei biopic sui losers.


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