Un film da finire nella Wuhan del 2020. Espandi ▽
2019: in un vecchio computer riportato in vita, un regista ritrova il materiale girato dieci anni prima di un film mai finito, la storia d'amore fra due ragazzi, e decide di portare a termine il progetto. Riunito il cast dell'epoca e messa insieme una troupe, s'appresta a girare la seconda parte del film nel gennaio del 2020 in un hotel vicino a Wuhan, proprio nei giorni in cui esplode la pandemia di COVID. Confinati nella struttura in lockdown, uomini e donne dovranno sopravvivere a mesi di clausura usando smartphone e video per comunicare.
Il ritorno su un film mai finito si trasforma per Lou Ye (a Cannes quindici anni dopo il premio per la sceneggiatura per
Spring Fever) in una nuova operazione sperimentale, esempio di un cinema che s'interroga sul rapporto fra immagini e realtà.
Le riflessioni metalinguistiche sono espresse da Lou Ye con un'operazione sperimentale e insieme storica, che ritorna sul trauma del COVID e lo affronta da un punto di vista inedito. Con il passare dei minuti, però, il suo film diventa sempre di più una sorta di ricostruzione del primo lockdown della città da cui tutto è partito, Wuhan.