Anziché suscitare una forma di empatia, il film finisce con l'allontanare lo spettatore, che non può che approcciarsi con freddezza agli eventi mostrati.
di Silvia Guzzo
Laura, Stefania e Simonetta lavorano come operatrici al centro Antiviolenza di Parma, che si occupa di accogliere le vittime di maltrattamenti che decidono di chiedere aiuto. Tra le loro attività principali c'è l'accompagnamento delle donne alle case rifugio. Quello delle operatrici è un lavoro totalizzante, che lascia poco spazio alla vita privata e richiede dedizione e sacrificio: proprio per questo, il supporto delle colleghe è estremamente importante e consente di superare i numerosi momenti di difficoltà.
Nonostante l'originalità del punto di vista adottato e l'importanza del tema trattato, La gioia all'improvviso non riesce a rendere giustizia ai racconti di vita vera, carichi di umanità, da cui prende ispirazione.
Sebbene l'intenzione sia quella di trattare tematiche importanti come la violenza di genere e il lavoro di coloro che ogni giorno contribuiscono a combatterla, l'artificiosità e la retorica con cui viene affrontato l'argomento lasciano piuttosto interdetti su quale possa essere il pubblico di riferimento del film. A causa di un approccio troppo affettato e retorico unito a uno scarso approfondimento dell'interiorità delle donne in scena, il film, anziché coinvolgere, allontana l'emotività dello spettatore.