Life Is (Not) a Game

All'esterno di un campo profughi, da qualche parte nell'inverno dell'Europa balcanica, alcuni volontari forniscono a un'anziana una coperta isotermica per contrastare il freddo.
Dopo uno stacco, in un interno che pare uno studio artistico, una persona con giacca impermeabile bianca, pantaloni arancioni da tuta da lavoro, il volto nascosto da cappuccio, parrucca arancione e maschera bianca, in stile V per Vendetta, lavora a una sua installazione, tra carta, cutter e bombolette di vernice: è l'artista di strada Laika MCMLIV, più nota come Laika, di cui non si conosce l'identità. Il numero romano sta per 1954, anno di nascita del primo cane presumibilmente mandato nello spazio, mentre il suo logo rimanda a quello di Leica, storica casa produttrice di lenti e macchine fotografiche.
Attiva dal 2019, Laika incolla i suoi poster sui muri di Roma. Senza chiedere permesso, come tanti altri artisti più o meno noti di lei, che usano all'incirca gli stessi strumenti per prendere voce, esprimere dal basso una posizione, soprattutto per conto di chi una voce non l'ha: migranti, donne, vittime della guerra, persone che in Italia non hanno cittadinanza.

È una voce critica del potere dei capi di Stato, ma esprime anche attaccamento a figure popolari, dai calciatori a persone molto meno famose.

Poche settimane prima della dichiarazione di stato pandemico, una sua opera, installata di proposito fuori dal locale di Sonia Feng, ristoratrice dell'Esquilino, denunciava come ignoranza e razzismo ciò che porta a additare i rappresentanti della comunità cinese come i vettori del virus (#jenesuispasunvirus). Poco dopo i media nazionali e non solo segnalavano anche L'abbraccio, il suo disegno che associava Giulio Regeni allo studente egiziano a Bologna Patrick Zaki. In seguito, durante il lockdown, le azioni artistiche di Laika (che lei chiama "blitz") se possibile hanno assunto un valore anche maggiore.
Spera, che presenta il suo film d'esordio in Freestyle alla Festa del cinema di Roma 2022, ha ottenuto la sua fiducia e disponibilità e può osservarla (ammesso che si tratti di una donna) anche durante l'isolamento. Quando ricorda con affetto lo scomparso Luis Sepùlveda o mette in ridicolo il linguaggio burocratico e paradossale dei decreti legge nell'emergenza, o coglie la deflagrazione totale dell'ipocrisia di József Szájer, parlamentare europeo protagonista di affollate orge in tempi di restrizioni della socialità.
Scritto da Spera e Daniela Ceselli, il film fa un uso intelligente e originale dell'accesso alla privacy di Laika: filmandola come una Robin Hood metropolitana, una figura che sta a metà tra una vendicatrice della notte e una versione digitale di Pasquino, lo spirito del pungente, anche in quel caso anonimo, commentatore capitolino. La regia coglie i tratti essenziali del suo gesto - spirito antisistema, velocità di esecuzione, immediatezza e incisività del messaggio - e mutua alcuni stilemi del cinema di genere (accelerazioni, musica elettronica, ritmo, immaginario ma anche ironia metacinematografica da superhero movies) tramite i quali si tiene lontano dal rischio di uno scolastico profilo d'artista. In tempi di polarizzazioni e odii strumentalizzati ad uso politico, Laika, che si definisce un'"attacchina", pratica la riflessione e ne fa instant art, punta i riflettori sui cortocircuiti, rileva il malcontento sociale e il disagio psichico che si trasforma in violenza, prima di tutto verbale: "lo sbraco enorme", come lo chiama lei, ovvero l'opera di grandi dimensioni è il suo wall of shame, ironico rovesciamento del muro del pianto in muro della vergogna: un grande collage di tweet di odio e rabbia, accorpati e ingranditi.

Ma la vera sorpresa del film, al di là del pedinamento della misteriosa contestatrice, è quella racchiusa nel titolo: dopo diversi anni di reportage e documentari sulla migrazione ormai è noto che il "game" è il nome con cui chi scappa dalla propria casa indica la "scommessa" - pericolosa come un azzardo, ma non altrettanto ludica - che affronta quando tenta di attraversare l'ultima frontiera.
E nella seconda parte infatti si apprende che Life Is (Not) A Game è il nome del progetto di quattro poster di Laika ispirati al luogo appena intravisto in apertura. Abbandonate le facciate e i muretti della capitale, Laika si spinge infatti in un rifugio di fortuna, nei paraggi del campo di Lipa, dove un gruppo di pakistani denuncia le violenze della polizia croata nei confronti dei migranti sulla rotta balcanica. Mentre loro prendono parola e mostrano i loro corpi, lei incolla i suoi lavori, perché le forze dell'ordine sappiano di essere osservate. Coprodotto dall'italiana Morel di Alessandro Greco e dalla spagnola Salon Indien di Pablo de la Chica, Life Is (Not) A Game è una salutare sberla in faccia alle coscienze anestetizzate, una chiamata alla mobilitazione, a non abbassare la guardia, dopo un periodo di divieti, ma chiedere conto all'Europa di difendere i diritti umani. Per poter immaginare il futuro. 

Maschera bianca da manichino, parrucca rosso fuoco, voce camuffata dal distorsore: Laika (come la cagnetta che fu lanciata nello spazio sullo Sputnik sovietico) ha animato i muri di Roma negli ultimi anni pandemici con poster e murales che urlano la sua indignazione civile (il più noto è quello che immagina un abbraccio tra Giulio Regeni e Patrick Zaki). Due anni di battaglie della street artist dall’identità misteriosa, seguita nelle sue sortite notturne dalla macchina da presa di Antonio Valerio Spera, che mescola con spirito pop anche frammenti dei video-appunti di Laika, interviste ai destinatari dei suoi messaggi, materiali di repertorio sugli argomenti “caldi” trattati dall’artista e, naturalmente, le sue opere.