Titolo internazionale | Genus Pan |
Anno | 2020 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Filippine |
Durata | 150 minuti |
Regia di | Lav Diaz |
Attori | Bart Guingona, Nanding Josef, Hazel Orencio, Joel Saracho, Noel Sto. Domingo . |
Tag | Da vedere 2020 |
MYmonetro | 3,50 su 6 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
|
Ultimo aggiornamento martedì 25 agosto 2020
Lav Diaz torna a parlare di emarginati e umanità. Il film è stato premiato al Festival di Venezia,
CONSIGLIATO SÌ
|
Bardo, Paulo e Andres lavorano in una miniera. Paulo, fervente cattolico di buon cuore, è un vecchio amico di Bardo e quindi tende a perdonare l'avidità e l'egoismo di quest'ultimo, che si accanisce in particolare sul giovane e introverso Andres, bersagliato dalla malasorte. Quando si recano nell'isola Hugaw, luogo al centro di leggende e maldicenze, cresce la tensione tra i tre.
Per il regista Lav Diaz si tratta di una storia sul lumpen proletariat del mondo rurale, sugli ultimi degli ultimi, che non saranno mai primi.
Ma non è un racconto pieno di compassione, il suo. Il tredicesimo lungometraggio è forse il più esplicitamente politico e il più pessimista tra i lavori del regista filippino. Il cinema di Lav Diaz è in continua mutazione: dagli inizi quasi contemplativi di Evolution of a Filipino Family è rimasta una traccia della forma - una successione di inquadrature fisse, spesso in esterni, in bianco e nero, senza primi piani - ma è mutato radicalmente tutto il resto. Dove un tempo prevaleva la volontà di smarrirsi tra i dettagli della foresta filippina, creando una bolla atemporale in cui scordare ogni affanno, ora la lunghezza è scesa sotto le tre ore e l'impianto narrativo si avvicina a una scansione del racconto tradizionale, con molti dialoghi, una trama, un movente e un epilogo chiaramente delineati. Senza ricorrere a un aggettivo come "convenzionale", che, associato al regista di Melancholia assomiglierebbe a un'eresia, è un fatto che il cambiamento si avverta, spinto forse dalla volontà di denunciare una situazione politica insostenibile nel suo Paese, oltre che in generale nel mondo. Genus Pan, infatti, titolo internazionale del film, si riferisce al termine scientifico con cui è indicato lo scimpanzé, stadio animalesco e darwinianamente antecedente all'homo sapiens, tendente all'aggressività, in cui secondo Diaz versa buona parte dell'umanità e in particolare alcuni capi di governo.
L'invettiva politica va oltre le barriere dell'allegoria e si presenta sfrontatamente allo spettatore, appena mediata da un programma scientifico ascoltato via radio, che spiega come la tendenza alla violenza e alla sopraffazione di dittatori e fascisti sia dovuta a un arresto evolutivo, a un deficit intellettivo. Tra allucinazioni e inesorabili punizioni del karma, tutto o quasi si svolge in un'isola nota per gli stupri e le violenze dell'esercito giapponese durante la Seconda guerra mondiale, un luogo intriso di morte e disperazione, in cui l'umanità affronta il suo redde rationem. Diaz sceglie per una volta di subordinare il significante al significato, fin quasi a scendere nel didascalico, con una mossa azzardata e con esiti altalenanti, ma resta coerente con il percorso della sua poetica, inequivocabilmente (e forse inevitabilmente) volto in una direzione ben precisa, spinto dall'urgenza di una situazione globale che richiede proattività culturale e politica.
Genus Pan, ovvero l'ominide prima dell'uomo, lo scimpanzé, figura di riferimento del diciannovesimo lungometraggio di Lav Diaz, (Lahi, hayop in originale), premiato alla Mostra di Venezia 2020, sezione Orizzonti. La grande scimmia, King Kong, si rimpicciolisce nel racconto fiabesco del regista filippino, Leone d'oro 2016 con The Woman Who Left, e abita nella foresta di Hugaw (titolo del corto compreso [...] Vai alla recensione »
Estensione del mediometraggio Hugaw, facente parte del film a episodi Lakbayan del 2018 (comprendente anche lavori di Brilliante Mendoza e Kidlat Tahimik), Genus Pan, premiato in Orizzonti per la migliore regia, riprende la struttura del viaggio iniziatico di tre amici minatori che vogliono fare ritorno al loro villaggio attraversando a piedi l'isola di Hugaw.
L'uomo, discendente prossimo dello scimpanzé, ha conservato il Genus Pan, il gene originario. È fondamentalmente rimasto al livello animale, con tutti gli impulsi e i comportamenti che ne conseguono. La violenza, l'aggressività, la difesa dei propri interessi, del territorio e dell'esclusività del gruppo, l'egoismo, la rapacità, l'istinto di sopravvivenza.
Lav Diaz presenta un film di soli 157 minuti, con un metraggio ben inferiore alla durata a cui siamo abituati nella sua cinematografia. La lunghezza della pellicola - fino a dieci ore - e le inquadrature statiche non sono più una novità e, così, il regista filippino propone un film più asciutto e accettabile anche dal largo pubblico. Lahi, Hayop è un film che mantiene tutta la cifra stilistica dell'autore [...] Vai alla recensione »
Lahi, hayop, il titolo originale filippino di Genus Pan, è traducibile in italiano con "Razza, animale". Dopotutto di questo parla il diciannovesimo film diretto in ventidue anni di carriera da Lav Diaz: l'uomo, che pretende di essere la specie più evoluta, quella al di sopra del resto delle bestie che si agitano sulla Terra, altro non è che un animale.