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Lunar City, una sintesi (dall'interno) degli obiettivi futuri della NASA

L'obiettivo è avvicinare il grande pubblico alle competenze di una ristretta cerchia scientifica. Al cinema.
di Raffaella Giancristofaro

lunedì 17 febbraio 2020 - Recensioni

Poco più di mezzo secolo è trascorso dall'allunaggio della missione Apollo 11 (1969) ad oggi. Un arco temporale molto ridotto, nel quale, grazie al vertiginoso sviluppo delle tecnologie e, in parallelo, delle ambizioni umane, le spedizioni nello spazio hanno avuto, tra successi e fallimenti, un'accelerazione impressionante. Da terreno di competizione tra megapotenze rivali durante alla Guerra fredda, la conquista dello spazio si è in tempi più recenti trasformata in un'alternativa non più solamente possibile ma anche politicamente auspicabile alla vita sulla Terra, e insieme in una nuova occasione di business: non soltanto di turismo, ma anche di altre attività commerciali. Soprattutto, si è trasformata in una collaborazione tra enti scientifici e investitori privati, finalizzata a un obiettivo comune: portare gli esseri umani su Marte, per restarci e ottimizzare conoscenze e nuove forme di vita, sempre tenendo la Luna come quartier generale di riferimento.

Se il cinema (da First Man ad Ad Astra) continua ad essere ammaliato dalla ricreazione di questo slancio d'esplorazione, il documentario di Alessandra Bonavina (che nel 2017 ha realizzato Expedition, sulla missione spaziale VITA 52/53 con Paolo Nespoli, con destinazione l'ISS, la Stazione Spaziale Internazionale, a cui Lunar City è complementare, e che si compirà in un trittico con l'imminente Destination Mars), è il suo dietro le quinte, la spiegazione dei passaggi tramite i quali realizzare le missioni e dei loro aspetti tecnici.

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