jonnylogan
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sabato 1 marzo 2025
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vite da replicante
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Le locations evocate dalla pellicola e il fascino di Philip K. Dick, ovvero uno degli scrittori di realtà distopiche più celebrato di sempre, restano ancora inalterate seppure a più di quattro decadi sia dalla scomparsa dell'autore, sia dalla precedente fatica di celluloide diretta da Ridley Scott, in tal caso presente nel ruolo di produttore.
Il regista canadese Denis Villeneuve, fortemente voluto dallo stesso Scott, rimasto affascinato dai suoi precedenti lavori, in precedenza celebrato anche da una candidatura Oscar con Arrival (id.; 2016), e oggi impegnato nella rivisitazione di un altro classico del cinema sci-fi, ovvero la saga di Dune; riprende il filo del discorso interrotto nella Città degli Angeli del 2019 tornando alle medesime atmosfere hard - boiled, con tanto d'introspezione e voce fuori campo e che erano il pane quotidiano di coloro che cacciavano replicanti.
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Le locations evocate dalla pellicola e il fascino di Philip K. Dick, ovvero uno degli scrittori di realtà distopiche più celebrato di sempre, restano ancora inalterate seppure a più di quattro decadi sia dalla scomparsa dell'autore, sia dalla precedente fatica di celluloide diretta da Ridley Scott, in tal caso presente nel ruolo di produttore.
Il regista canadese Denis Villeneuve, fortemente voluto dallo stesso Scott, rimasto affascinato dai suoi precedenti lavori, in precedenza celebrato anche da una candidatura Oscar con Arrival (id.; 2016), e oggi impegnato nella rivisitazione di un altro classico del cinema sci-fi, ovvero la saga di Dune; riprende il filo del discorso interrotto nella Città degli Angeli del 2019 tornando alle medesime atmosfere hard - boiled, con tanto d'introspezione e voce fuori campo e che erano il pane quotidiano di coloro che cacciavano replicanti. Per l’occasione Villeneuve e Scott riescono proprio a riesumare anche la figura sensibilmente invecchiata di Harrison Ford, facendogli indossare nuovamente i panni di un vecchio cacciatore di androidi ancora più disilluso del solito. Affiancandolo a un nuovo agente dell’unità Blade Runner. Un replicante di ultima generazione devoto servitore della polizia di Los Angeles, oltre che dedito all’amore con figure a ologrammi.
A calarsi nella parte di K: Ryan Gosling, attore ultra sfaccettato capace di passare dal registro leggero, un film su tutti Barbie (id.; 2023), fino ad arrivare al musical, in tal caso suggeriamo di recuperarne la performance in La La Land (id.; 2016), il quale riesce a restituire alla macchina da presa quella perfetta assenza di emozioni che solamente un ‘lavoro in pelle’ può provare.
Villeneuve riesce a offrire un sequel degno di un primo capitolo ormai iconico, ma che anche in questo caso non è riuscito a ottenere un successo al botteghino capace di far fronte ai costi iniziali, e nonostante le numerose e ottime critiche, favorite sia dalla recitazione, in particolare di Gosling, sia dalla presenza di effetti speciali e di una fotografia, entrambi premiati con l’Oscar, incredibilmente efficaci e in grado di riprodurre quelle ambientazioni care a chi ha amato la Los Angeles del 2019. Riuscendo a consegnare al pubblico, sia la logica prosecuzione di una vicenda interrotta trent’anni prima, ma declinandola in qualche cosa di differente e unico, sia lasciando aperto uno spiraglio per un terzo capitolo.
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marco8
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mercoledì 1 gennaio 2025
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noiosissimo!
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Noioso, lentissimo, confuso.
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no_data
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martedì 14 novembre 2023
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nullo
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Lento, mi sono addormentato 3 volte
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alexfioravanti
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mercoledì 24 maggio 2023
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mah
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Io apprezzo molto la soggettività ovvero il fatto che una cosa può piacere a me ma a te no. Però continuare a sentire lodi con fanfare a questo regista che tutti considerano un fenomeno a me fa un po ridere. Cioe tra questo film e Dune c'è una linea immaginaria che li unisce benche completamente diversi nella trama ambientazioni ecc. Ormai ho capito che la caratteristica di questo regista è: puntare sugli effetti speciali, e ho capito ma nel 2023 gli effetti speciali ormai fanno parte del cinema non c'è più l'effetto wow di una volta. La sceneggiatura? dove è? Intere scene di silenzi imbarazzanti che ti fanno pensare ai film del far west.
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Io apprezzo molto la soggettività ovvero il fatto che una cosa può piacere a me ma a te no. Però continuare a sentire lodi con fanfare a questo regista che tutti considerano un fenomeno a me fa un po ridere. Cioe tra questo film e Dune c'è una linea immaginaria che li unisce benche completamente diversi nella trama ambientazioni ecc. Ormai ho capito che la caratteristica di questo regista è: puntare sugli effetti speciali, e ho capito ma nel 2023 gli effetti speciali ormai fanno parte del cinema non c'è più l'effetto wow di una volta. La sceneggiatura? dove è? Intere scene di silenzi imbarazzanti che ti fanno pensare ai film del far west. Lunghezza del film mostruosa per far vedere cosa? Ryan goslig che praticamente non parla? Dici Clint Eastwood parlava? no però l'espressione del viso già anticipava qualsiasi tipo di parola che avrebbe detto. Qui c'è un piattume nella sua interpretazione che ti fa dire "ah però se chiamavano a me avrei fatto meglio". Le scene di azione? apparte la scazzotata iniziale con il replicante e quella con harrison ford (inutile) dove sono? Cioè dire che questo regista è bravo e come dire a un ragazzino dell'Under 20 di calcio che fa un gol spettacolare "mamma mia è maradona". Sicario e Arrival sono belli? Con questo film e Dune per me è scivolato molto in basso. In enrambi i film forte impatto visivo, super effetti speciali, ma sceneggiatura zero e durata mostruosa che rendono i film molto noiosi. Non sarà scarso ma neanche questo fenomeno che gli americani vogliono farci credere.
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massi
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mercoledì 10 maggio 2023
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forse il miglio sequel di sempre
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Di solito i sequel sono deludenti. Questo mi sembra abbia centrato tutti gli obbiettivi. Reincarna bene l'ambientazione del primo e anche molti aspetti della storia sono centrati; ho percepito quegli elementi un po' mistici che hanno fatto di Blade Runner del 82 un colossal. Anche il cast mi è sembrato adeguato. Complimenti a Villneuve che già nel primo film m'era piaciuto.voto 9
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zeroincondotta
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lunedì 4 gennaio 2021
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davvero qualcuno si aspettava un nuovo capolavoro
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Blade Runner 2049
Davvero qualcuno si aspettava un nuovo capolavoro pari all’originale? Io proprio no, anzi ero talmente convinto che fosse una boiata che non ho voluto vederlo quando uscito e probabilmente non lo avrei visto se non fossi stato costretto a casa dalle restrizioni causate dall’emergenza Covid. E così l’ho visto due giorni fa, a più di tre anni dalla sua uscita. E ……… Ho dovuto ricredermi perché il film mi è piaciuto. Confermo in toto le osservazioni già fatte da molti in precedenza, sia positive che negative (la splendida fotografia, la colonna sonora inconsistente, il finale prevedibile, la prospettiva probabile di ulteriore/i sequel……) perciò non sto ad aggiungere altro né a raccontare la trama.
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Blade Runner 2049
Davvero qualcuno si aspettava un nuovo capolavoro pari all’originale? Io proprio no, anzi ero talmente convinto che fosse una boiata che non ho voluto vederlo quando uscito e probabilmente non lo avrei visto se non fossi stato costretto a casa dalle restrizioni causate dall’emergenza Covid. E così l’ho visto due giorni fa, a più di tre anni dalla sua uscita. E ……… Ho dovuto ricredermi perché il film mi è piaciuto. Confermo in toto le osservazioni già fatte da molti in precedenza, sia positive che negative (la splendida fotografia, la colonna sonora inconsistente, il finale prevedibile, la prospettiva probabile di ulteriore/i sequel……) perciò non sto ad aggiungere altro né a raccontare la trama. Voglio semplicemente dire perché 2049 mi è piaciuto. Premetto che ho visto l’originale appena uscito nel 1982, attratto dalle locandine all’esterno del cinema (davvero intriganti per un appassionato di film science fiction e di fumetti in generale) e dal nome del regista (di cui avevo già apprezzato i suoi primi due film (I duellanti e Alien). Inutile dire che da allora, essendo diventato un cult movie, l’avrò rivisto una dozzina di volte, persino alla televisione in Brasile la sera di Natale del 1989. Mi è piaciuto perché dopo qualche minuto di scetticismo iniziale mi sono ritrovato “dentro” il film naturalmente, senza sforzo, e per lunghi tratti mi sembrava davvero di vivere il seguito di Blade Runner. Ho riprovato emozioni simili, ho condiviso col protagonista K il suo percorso, il suo stupore e i suoi sforzi per scoprire la verità. Ho rivisto le stesse atmosfere, cambiate dopo 30 anni, certo, ma anch’io ho 30 anni in più e il mondo reale intorno a me è cambiato terribilmente rispetto ad allora. E la lentezza eccessiva? Ma da quando in un film la lentezza ha un connotato negativo? E allora 2001 Odissea nello spazio, Apocalypse Now, i film di Wim Wenders, C’era una volta in America, ecc… come li classifichiamo? Blade Runner 2049 ha qualche caduta, sicuramente non è un capolavoro assoluto e forse non regge come film a se stante, ma mi ha emozionato, ha stimolato spunti di riflessione filosofica come pochi (forse dai tempi di Matrix) e mi ha divertito senza mai annoiarmi. Scusate se è poco.
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luca scialo
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domenica 3 gennaio 2021
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regge l'incombenza di essere il sequel di un cult
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Quando si è il sequel di un cult anni '80 e vieni proposto a distanza di 35 anni, le attese intorno a sé sono ovviamente altissime. Per fortuna, questa pellicola li regge bene, ponendosi anche una spanna sopra la qualità media dei lungometraggi del medesimo genere odierni. In un mondo sempre cupo, dove il futuro è presente e regna la solitudine e la desolazione, occorre rimuovere i restanti replicanti della vecchia generazione. Ancora inclini alla ribellione. Eppure, loro hanno qualcosa che i replicanti attuali non hanno: assistere ad un miracolo, un replicante che ha generato un figlio. Così, il blade runner Agente K deve compiere una missione ulteriore: trovare ed ucciderlo, affinché l'ordine non venga destabilizzato.
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Quando si è il sequel di un cult anni '80 e vieni proposto a distanza di 35 anni, le attese intorno a sé sono ovviamente altissime. Per fortuna, questa pellicola li regge bene, ponendosi anche una spanna sopra la qualità media dei lungometraggi del medesimo genere odierni. In un mondo sempre cupo, dove il futuro è presente e regna la solitudine e la desolazione, occorre rimuovere i restanti replicanti della vecchia generazione. Ancora inclini alla ribellione. Eppure, loro hanno qualcosa che i replicanti attuali non hanno: assistere ad un miracolo, un replicante che ha generato un figlio. Così, il blade runner Agente K deve compiere una missione ulteriore: trovare ed ucciderlo, affinché l'ordine non venga destabilizzato. La produzione di Ridley Scott si fa sentire positivamente e ben si sposa col talento di Denis Villeneuve. Non convincente fino in fondo Ryan Goslig, che stona con un film nel complesso ben fatto. Effetti speciali in armonia con la trama, colpi di scena, momenti toccanti, con il cameo di Harris Ford è la ciliegina sulla torta.
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giu.spa
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giovedì 7 maggio 2020
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robot di carne
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Il film è a tutti gli effetti la naturale prosecuzione del primo Blade Runner del 1982, infatti riprende bene le ambientazioni con le atmosfere cupe, piovose e... polverose, il crogiolo di etnie e il vintage futuristico, le luminescenti onnipresenti interattive pubblicità tridimensionali, anche queste “più reali del reale”. Anzi per certi aspetti BR2049 rispecchia maggiormente le atmosfere raccontate nel libro di P.K. Dick rispetto al BR1982, infatti Dick descrive delle enormi città morte con giganteschi grattacieli abbandonati e vuoti, abitati solo da pochi reietti, persone ai margini delle società. Luoghi coperti e pervasi perennemente da un sottile e persistente strato di polvere.
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Il film è a tutti gli effetti la naturale prosecuzione del primo Blade Runner del 1982, infatti riprende bene le ambientazioni con le atmosfere cupe, piovose e... polverose, il crogiolo di etnie e il vintage futuristico, le luminescenti onnipresenti interattive pubblicità tridimensionali, anche queste “più reali del reale”. Anzi per certi aspetti BR2049 rispecchia maggiormente le atmosfere raccontate nel libro di P.K. Dick rispetto al BR1982, infatti Dick descrive delle enormi città morte con giganteschi grattacieli abbandonati e vuoti, abitati solo da pochi reietti, persone ai margini delle società. Luoghi coperti e pervasi perennemente da un sottile e persistente strato di polvere... la palta. L’agente K di BR2049, ricorda maggiormente il Deckard del libro di Dick, rispetto al Deckard di Ford; ma il protagonista del libro è un impiegato mediocre che svolge un lavoro scomodo che però gli può permettere, per una questione di prestigio sociale, di acquistare un animale “vivo”, ma nel frattempo si deve accontentare solo di una pecora elettrica.
In BR1982 i replicanti sembrano esseri viventi creati con l’ingegneria genetica, fatti di parti biologiche ( il vecchio orientale che fabbrica gli occhi dei Nexus), così come pare lo siano quelli del sequel BR2049, costruiti utilizzando le stesse quattro basi azotate che compongono il DNA dell’uomo: sono degli esseri viventi che replicano la vita umana... Una sorta di cloni, o meglio, come gli chiama lo stesso Dick, i robot umanoidi, gli androidi organici, che di per se è un ossimoro in quanto l’androide è una macchina, per quanto sofisticata e complicata e complessa, è e resta una macchina.
Il richiamo forte è al ciclo del ware di Rudy Rucker col suo Manchile, robot di carne capace di riprodursi. L’accostamento diventa evidente verso la fine di BR2049, con l’epifania sull’erede di Deckard e Rachael...
Infine, quello che si intravede è la possibilità di un altro nuovo capitolo, un BRIII; una trilogia del Blade Runner e così che piace agli americani... e forse addirittura un IV capitolo... come lo è stato, giusto per stare “dietro” ad Harrison Ford, per Indiana Jones col suo (orrore!) Il Regno del Teschio di Cristallo, così come è per Star Wars con tutti i suoi capitoli, svariati spin off prequel e sequel...
E così come lo è stato con i sequel di Alien e come lo è ora con i prequel... insomma, un franchising.
Tutto sommato un film godibile che però non credo arriverà alle vette di phatos del precedente e non perché il regista o gli attori o le scenografie e gli effetti speciali non siano all’altezza, certo, manca quel “qualcosa”, che nel primo film, oltre la novità creativa, forse è la famosa frase che Roy Batty dice un attimo prima di spegnersi... Vedremo col tempo.
In conclusione, quello che appare è una certa paura dell’Uomo verso ciò che può creare; è la vecchia storia della creatura di Frankenstein che in un certo qual modo si ribella al suo creatore e vuole vivere la sua vita.
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raf
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lunedì 27 aprile 2020
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sleep runner 2049
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Mi ero ripromesso di non guardarlo mai, ma la prigionia COVID porta anche a fare questi errori.
Se vi piaccioni i sequel lunghi, lenti, fintamente introspettivi, senza innovazione e con goffe citazioni dell'opera originale, allora questo film fa per voi.
Un anestetico sussegguirsi di immobili primi piani...dentro celle intrecciate...paurosamente assonnate...
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ediesedgwick
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lunedì 27 aprile 2020
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within cells interlinked
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(analisi con possibili spoiler) ::
Ormai amo alla follia Villeneuve: è uno di quei registi che hanno un fascino visionario e un'ispirazione registica tali che prima o poi si aprono da soli, meritatamente la strada verso la grandezza, al di là del riscontro critico e contro ogni aspettativa di un cinefilo in quanto ad apprezzamento di pubblico, nonostante tutte le incomprensioni e i limiti della fruizione delle sue opere migliori (tra cui vi sono già dei capolavori, a mio avviso), frustrate a volte da un'accoglienza fredda, confusa o avvilente a livello di 'senso' del cinema e dell’ambizione. Le sue atmosfere sono intrise di dramma, cariche di presagi, in un certo qual modo ‘pesanti’ ed enigmatiche almeno stilisticamente, con significativi influssi latenti di tragedia del destino come non se ne vedevano più da tanti anni (‘Incendies’ e l'insospettabile, tremendo risvolto edipico, sussulto di genio da cui si può dire esser nato quest'autore in quanto tale).
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(analisi con possibili spoiler) ::
Ormai amo alla follia Villeneuve: è uno di quei registi che hanno un fascino visionario e un'ispirazione registica tali che prima o poi si aprono da soli, meritatamente la strada verso la grandezza, al di là del riscontro critico e contro ogni aspettativa di un cinefilo in quanto ad apprezzamento di pubblico, nonostante tutte le incomprensioni e i limiti della fruizione delle sue opere migliori (tra cui vi sono già dei capolavori, a mio avviso), frustrate a volte da un'accoglienza fredda, confusa o avvilente a livello di 'senso' del cinema e dell’ambizione. Le sue atmosfere sono intrise di dramma, cariche di presagi, in un certo qual modo ‘pesanti’ ed enigmatiche almeno stilisticamente, con significativi influssi latenti di tragedia del destino come non se ne vedevano più da tanti anni (‘Incendies’ e l'insospettabile, tremendo risvolto edipico, sussulto di genio da cui si può dire esser nato quest'autore in quanto tale). Ammiro l’impronta che riesce a dare ad ogni punto nevralgico degli eventi dei suoi film (a vario titolo) attraverso l'uso narrativo e intertestuale dell'agnizione, del dettaglio di un "riconoscimento" scatenante, che si è visto declinare finora in tutte le migliori intuizioni ed esiti possibili (da Incendies al cliffhanger 'perturbante' di Enemy fino ad Arrival, nel finale) e così pure in questa sua affascinante rilettura di Blade Runner, sequel di un capolavoro a tutti gli effetti e a sua volta degno portatore di riflessioni di un certo spessore. Autoriale, moderno, con un'architettura tematica, estetica e visiva a dir poco invidiabile e nonmeno intuizioni seminali sul deperimento della memoria e la sua virtualità, con tanto di momenti da cineteca (penso subito alla sovraesposizione tra l’incarnato e l'ologramma, rielaborata forse a partire da una mezza buona idea di Spike Jonze ma intesa qui come una intercessione visiva mozzafiato). Una fantascienza importante e 'interessante' nel senso più lato della parola, che ragiona sulla ‘filiazione’ e l'assenza di destino, piena di spunti sul filo della differenza tra "creazione" (artificiale) e "procreazione", tra umano e replicante, codice binario e genetico, alla base della malriposta speranza da parte del protagonista, di un'esistenza 'spartiacque' tra due mondi. Al di là delle notevoli, intelligentissime nuove velleità mitopoietiche e filmografiche, (l'argilla creaturale, Rachel come la Rachele biblica, oggetto del miracolo della fertilità, gli interni della Wallace corp. che ricalcano scenograficamente una piramide egizia, o ancora il rimando alla sezione archivistica di Quarto Potere, a cui è accomunato anche dall'idea di una ricerca/indagine su una 'chiave' dell'identità lungo i fili tagliati della vita e della memoria) anche qui, come già in Enemy e Incendies, vediamo la trama sciogliersi, tutt' a un tratto, in una meravigliosa deduzione 'agnitiva' e psicodrammatica riguardante l'agente K (Ryan Gosling, secondo me un'ottima scelta di casting) di cui non ha senso che sveli nulla - tranne sottolineare che è speculare alla velata incertezza dell'agente Deckard nel film precedente. C'è abbastanza materiale per un trattato breve su questo film, e non mi spiego ancora come sia potuto passare, tutto sommato, quasi un po’ sottotraccia col senno di qualche anno di distanza. Originale, profondo, quasi amletico, un'opera che scava fino alla radice dell'essenza umana fondata sul ricordo, riprendendo anche in orbita di argomento la loro autenticità, sulla scorta degli ‘innesti’ del padre putativo Ridley Scott (scelta felice che si sia fatto da parte sulla regia su questo progetto, per più di una ragione). Rischia poi di passare inosservato soprattutto il personaggio di Niander Wallace, demiurgico e misterioso ma non meno fondamentale degli altri per intercettare i significati e le complessità che sfumano meravigliosamente nel film, ben oltre gli aspetti legati alla stesura e i dialoghi che lo vedono 'artefice' deluso dall’entità del suo ‘pascolo sterile’ fuori dell’intervento di un creatore, salvo quella scintilla di impossibilità che è la stessa di una rivoluzione delle premesse, delle prerogative di un 'umano' tanto quanto di un “lavoro in pelle sentimentale”. Due piccole esattezze visive: la scoperta 'accidentale' del numero seriale nel reperto riesumato a inizio film (lo scheletro della donna che si desume essere morta di parto), che ne rivela anche il paradosso cruciale contronatura, è di una fedeltà impressionante al film precedente sul piano dell’analisi fotometrica dell’autopsia (è una delle cose che a un primo sguardo mi era parsa forzata, poi invece ho apprezzato molto). Un'altra finezza: le piccole sfere di lettura trasparenti in giacenza negli uffici Wallace come dispositivi di memoria archiviata contengono una specie di 'sinapsi' vera e propria. Infine, ennesimo scoglio di riflessione, l’ingegneria genetica come dilemma di portata esistenziale nella violazione del postulato del genoma per il quale due esseri umani non possono avere un corredo di dna identico, da cui tutte le diverse oscillazioni di senso e i capovolgimenti di indizi e idee sulla natura ‘unica’ ed eccezionale del protagonista - anche in relazione alla creatrice dei ricordi cui si rivolge come a un oracolo per saggiarne l'autenticità, ingannato. Oltre a questo, gli splendidi voli panoramici in presa dall'alto, altra cifra riconoscibile di Villeneuve, che si ripropongono qui dopo Sicario ed Enemy. Colonna sonora pseudo-Vangelis abbastanza azzeccata, pur se avrei preferito più tonalità intimiste e meno ambient alla 'Atlantique' di Fatima Al Qadiri (sarebbe stato davvero la perfezione). Nutro grandissime speranze nel remake di Dune, ma ci troviamo già davanti a un talento indiscutibile.
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