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Pasadena (Hollywood) Party

Project X e il declino dell’impero occidentale.
di Roy Menarini

In foto una scena del film Project X - Una festa che spacca.

domenica 10 giugno 2012 - Approfondimenti

Fin da ora, Project X si candida a diventare il film più studiato dei prossimi anni da sociologi, etnografi dei media ed esperti di studi culturali. Si tratta, con tutta evidenza, di una delle idee più innovative del cinema americano contemporaneo, quella di fondere il cosiddetto “point of view”, o finto found footage, alla tradizione del teen movie sboccato e demenziale. A differenza di Una notte da leoni, che se ne apparenta grazie a Todd Philips (qui in veste di produttore), Project X racconta minuto per minuto la notte degli eccessi, mentre nell’altro caso si trattava di ricostruirla dopo essersi svegliati in stato di blackout etilico.
Se Una notte da leoni narrava per metafora il desiderio di amnesia collettiva di una nazione ferita e in cerca di facili scappatoie alle responsabilità nazionali (e il suo sequel dalle responsabilità internazionali), Project X mette in scena il vuoto assoluto, con una frontalità e uno sprezzo la cui consapevolezza è a dir poco incerta.
A parte lo spasso innegabile procurato dalle gesta sciagurate dei tre amici e dei giovani distruttori, il film si carica di senso man mano che procede verso la distruzione generalizzata. Come se fossimo di fronte all’altra faccia di Occupy, quella dei ragazzotti benestanti, de-ideologizzati e privi di una qualsivoglia idea non dettata dal testosterone, siamo via via condotti dentro alla rappresentazione della più smaccata ignoranza e della pulsione più primaria – quella carnevalesca folclorica, attratta dalla distruzione e dall’annientamento dei limiti imposti dalla società.
Interessante anche per il trattamento visivo, con gli attori non professionisti che sono diventati operatori a loro volta, e uno sguardo attonito che pare l’incontro delirante tra John Hughes e Harmony Korine, Project X raggiunge il sublime durante due sequenze. Nella prima, i tre amici responsabili di aver creato un gigantesco rave party nella villetta dei genitori si arrampicano sul tetto e osservano l’infernale caos sottostante, sconvolti e orgogliosi: raramente si è vista una più veritiera e viscerale dimostrazione dell’orizzonte desiderante della cultura teen statunitense. Ancora più chiara la seconda scena, quella della guerriglia urbana scatenata dai festaioli contro la polizia pur di proseguire il party. Con un occhio ai riots di Londra – analizzati, si rammenti, come furia iconoclasta depoliticizzata, distruttiva, composta anche da figli della borghesia e persino delle classi agiate – i realizzatori mettono in scena una ribellione a grado zero, impossibile da capitalizzare per qualsiasi movimento rivoluzionario, della durata di una sola notte, di persone protette dai loro stessi genitori e dagli avvocati pagati dai parenti, intessuta di puro e semplice istinto. Ora, se in questa dimensione si faccia strada una pulsione di morte, come suggerito da alcuni critici americani, o un semplice impulso al regresso infantile (come suggerirebbe la castrante impossibilità a fare sesso da parte del festeggiato), spetta ai futuri analisti deciderlo. Certo, anche se Project X, per mancanza di classe, non potrà diventare l’Hollywood Party degli anni Duemila, verrà ricordato almeno – insieme alla serie dei Jackass cinematografici, altrettanto importante – come radiografia ad alta definizione della società americana contemporanea e dell’epoca cosiddetta post-mediale in cui ogni immagine torna ad essere, parafrasando Godard, giusto un’immagine.

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