Alì ha gli occhi azzurri

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Un film di Claudio Giovannesi. Con Nader Sarhan, Stefano Rabatti, Brigitte Apruzzesi, Marian Valenti Adrian Drammatico, durata 100 min. - Italia 2012. - Bim Distribuzione uscita giovedì 15 novembre 2012. MYMONETRO Alì ha gli occhi azzurri * * * - - valutazione media: 3,02 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

le due anime dei nuovi immigrati Valutazione 4 stelle su cinque

di pepito1948


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martedì 27 novembre 2012

Alì dagli occhi azzurri /uno dei tanti figli dei figli/scenderà da Algeri/su navi a vela e a remi/Saranno con lui migliaia di uomini/coi corpicini e gli occhi/di poveri cani dei padri/…Sbarcheranno a Crotone o a Palmi/a milioni, vestiti di stracci asiatici/ e di camicie americane..”/. Sembra incredibile come, a distanza di 50 anni, la profezia di Pasolini, a parte qualche dettaglio irrilevante, si sia puntualmente avverata. Specie se si pensa che allora l’Italia era un Paese di emigrati, non di immigrati. Giovannesi, che ha alle spalle un’esperienza poliennale di film, short e documentari, riprende il titolo del poeta ed il tema di sottofondo, la descrizione del sottoproletariato di periferia, che adatta alla realtà multietnica della società di oggi, in particolare quella romana (anzi di Ostia), preconizzata nella Profezia. Nader è uno dei figli dei figli, nato ed abitante ad Ostia con i genitori egiziani di prima generazione. Nel contesto di povertà e degrado in cui è cresciuto la mancanza di punti di riferimento lo spinge a vivere di espedienti; ruba, usa in modo “improprio” il coltello, si mette nei guai con una banda di rumeni vendicativi. Nader si sente occidentale, contesta i genitori islamici che vorrebbero impedirgli di stare con la ragazza che ama, va in discoteca, latita spesso dalla scuola, scappa da casa, maneggia una pistola, vive insomma come tanti altri coetanei sbandati del suo ambiente. Ma la sua anima originaria (cioè islamica) emerge prepotentemente quando il suo migliore amico si intromette nella famiglia violando le regole ataviche che lui stesso ha già trasgredito (non fare l’arabo, lo ammonisce Stefano); da quel momento si fa rivedere in moschea, i suoi rapporti, d’amore e di amicizia, s’incrinano, finchè il precipitare degli eventi non gli impone di scegliere tra il campare alla giornata e l’impostare una nuova vita che guardi oltre i suoi 16 anni gravidi di sregolatezza e di errori.
Giovannesi, nel rappresentare uno spaccato della società suburbana marginalizzata e “meticcia”, concentra l’attenzione non tanto sui contrasti tra diverse componenti culturali, ma sulle contraddizioni al limite della schizofrenia dei nuovi giovani immigrati nati e cresciuti sul nostro suolo, spesso combattuti tra l’impronta formativa d’origine che tendono a rifiutare ed il terreno rigoglioso di libertà (anche di trasgredire) su cui camminano ogni giorno. Conflitti interiori e conflitti familiari, che, come è noto, anche in Italia spesso sfociano in tragedie (ma non è il caso del film). Il regista si addentra in questo mondo complesso senza facili giustificazionismi ma anche senza infierire, mettendo a nudo la difficile adattabilità dei nuovi post-immigrati ma anche le condizioni ostative di una periferia che non è molto più umana di quella a suo tempo descritta da Pasolini. Il finale intelligentemente resta aperto: la famiglia di Nader, in pensoso silenzio, sfonda la quarta parete, quasi a volerci interrogare su ciò che potrà succedere in futuro e non solo al loro irrequieto figlio, lanciando tra le righe un grido di dolore contro la latitanza delle istituzioni, il degrado sociale, la mancanza di lavoro,  la colpevole resistenza generale verso l’integrazione culturale. Bravissimi gli interpreti e superba la fotografia di Ciprì che, nel mostrare tutte le pieghe del degrado, non manca di infondere poesia in alcune splendide immagini, come il distacco dei due ex amici su un lungomare desolato ed incolore.

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