Titolo originale | Hara-Kiri |
Anno | 2011 |
Genere | Azione |
Produzione | Giappone |
Durata | 126 minuti |
Regia di | Takashi Miike |
Attori | Ebizô Ichikawa, Eita, Hikari Mitsushima, Kôji Yakusho . |
MYmonetro | 2,96 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 25 giugno 2012
Il film di Takashi Miike partecipa, in Concorso, al Festival di Cannes 2011.
CONSIGLIATO SÌ
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Il samurai Hanshiro si reca presso la casa del clan Ii, che ha a capo il ricco Kageyu, per chiedere l'autorizzazione a commettere suicidio rituale. Kageyu lo informa che ormai accade sempre più spesso che ci siano samurai in povertà che fingono di volersi suicidare solo per poter accedere alle case dei ricchi per chiedere aiuto in denaro. Gli racconta così la vicenda di un giovane samurai, Motome, il quale aveva avanzato la stessa richiesta per poi rivelare di aver bisogno di un aiuto per curare la moglie ammalata e il figlioletto morente. Il clan lo aveva costretto a morire di una morte atroce perché obbligato a suicidarsi con la spada di bambù che aveva sostituito quella metallica venduta per bisogno. Hanshiro ascolta ma poi mostra di conoscere bene quella storia.
Non tutti i remake vengono per nuocere, si potrebbe dire dinanzi a questa opera di Takashi Miike che riprende un film degli Anni Sessanta. Innanzitutto perché fa un uso inatteso del 3D. Ci si sarebbero potuti aspettare fiumi di sangue e arti in volo sullo schermo e invece le tre dimensioni servono a far sì che gli spazi assumano una loro concretezza esteticamente raffinata che integra perfettamente una narrazione che potremmo definire quasi teatrale. Perché ciò che qui interessa ad uno dei più importanti registi del cinema giapponese non è l'azione (a cui dedica l'unica scena ipertrofica del film nel sottofinale) ma il rapporto che intercorre tra chi detiene il potere e la ricchezza e chi non ha altro su cui contare che se stesso e la propria dignità. Le storie di Hanshiro e Motome prendono corpo in un mondo non poi così lontano dalla società attuale nella quale l'umiliazione dei deboli sembra essere uno dei più elevati momenti di piacere per chi può esercitarla. Rispettando le regole del film di genere Takashi Miike riesce al contempo ad attualizzarle offrendoci un'occasione per riflettere sulla sofferenza dell'essere umano.