Cinema universale d'Essai

Film 2008 | Documentario,

Anno2008
GenereDocumentario,
ProduzioneItalia
Regia diFederico Micali
Uscitavenerdì 6 marzo 2009
DistribuzioneFandango
MYmonetro 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Federico Micali. Un film Genere Documentario, - Italia, 2008, Uscita cinema venerdì 6 marzo 2009 distribuito da Fandango. - MYmonetro 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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La storia del celebre Cinema Universale del quartiere San Frediano a Firenze, fra documentario e leggenda. In Italia al Box Office Cinema universale d'Essai ha incassato 973 .

Consigliato sì!
3,00/5
MYMOVIES 3,00
CRITICA
PUBBLICO 3,00
CONSIGLIATO SÌ
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Critica
Premi
Cinema
Trailer
Storia e mito, documentati con partecipazione, di una sala fiorentina che amava dialogare col proprio pubblico.
Recensione di Edoardo Becattini
sabato 7 marzo 2009
Recensione di Edoardo Becattini
sabato 7 marzo 2009

Vicino quei luoghi della Firenze popolare descritti dalla letteratura di Vasco Pratolini, laddove oggi sorge una discoteca modaiola ormai dismessa, per quasi quarant'anni si è fatta onore una sala cinematografica di quartiere capace di attirare orde di pubblico, nonché storie e leggende più disparate: il cinema Universale. Nel tentativo di ricostruire la memoria collettiva di questo luogo ancora in grado, a vent'anni dalla sua chiusura, di riaccendere lo sguardo di molti fiorentini sopra i quarant'anni, Cinema Universale d'Essai segue un percorso storico-cronachistico costruito su numerose interviste ai più singolari e devoti frequentatori di questa storica sala che soprattutto nel suo ultimo decennio di vita è stata un centro ricreativo, una fucina di immagini e di voci, dove anche i film più ostici e di ambito "intellettuale" trovavano un sapido dialogo con lo spettatore fatto di commenti, cori e creativi neologismi (per lo più a sfondo sessuale).
In Italia, sappiamo bene dai tempi di Nuovo Cinema Paradiso che la chiusura di una sala cinematografica non è mai indolore, ma l'interruzione di una storia che è quella dei film cui ha dato letteralmente la luce e di tutte le emozioni depositate in ogni singolo spettatore. Raccontare una storia così anomala e fortemente localizzata come quella del cinema Universale era un compito arduo. Si poteva correre il rischio di narrare una storiella di provincia circoscritta nel racconto e limitata nello sguardo, oppure di cullarsi nel liquido amniotico di una nostalgia canaglia e della goliardia genuina che fu propria di quei luoghi e del più tipico spirito dei fiorentini. Il film di Federico Micali ricostruisce invece la genesi di un cinema e dei suoi fantasmi seguendo un'etica prettamente documentaristica, che compartecipa e senza dubbio tradisce pure una certa simpatia per il suo oggetto di discorso, ma che non viene mai meno al rigore e all'efficacia del suo compito, basando ogni suo passaggio su un valido lavoro di ricerca meno storiografico che antropologico. Alla naturale scarsezza di materiali d'archivio e di documenti su una sala di quartiere di epoca recente, il film risponde privilegiando la dimensione orale del racconto, ma non tradendo un approccio seriamente storicistico, che di quel luogo racconti tutta la genesi e l'evoluzione.
Il lavoro di Micali non è quindi un semplice memorabilia di immagini e di aneddoti "vintage", ma un'analisi diacronica della storia dell'Universale, raccontata per tappe ogni volta perfettamente contestualizzate nel loro clima culturale. Avvalendosi anche di qualche parentesi artigianale realizzata in stop-motion per dare un supporto visivo e un ritmo dinamico a tutta la serie di interviste, Cinema Universale d'Essai riesce saggiamente a comunicare tutto l'aspetto folkloristico della sua storia e a elevare il film da prodotto residuale destinato ad una generazione di satiri nostalgici a documentario di ampia visione, capace di parlare un linguaggio (pardon!) universale. Perché anche se l'idea stessa di un Universale oggi è non solo anacronistica (a fronte di una fruizione sempre più parcellizzata nella sostanza ed individualizzata nella forma), ma anche poco auspicabile dalla maggioranza del pubblico "cinefilo", non lo è invece un'idea di cinema come esperienza in cui la sala e le condizione della visione compartecipano allo stesso ruolo del film: il dato di fatto che un film non sia mai lo stesso in base al luogo in cui lo si vede, ma che sia fatto anche di ricordi e di emozioni che non coinvolgono necessariamente solo la vista e l'udito.
Certo, il film documentario di Micali è senza dubbio lontano dal romanticismo e dal profilo estetico di Tornatore, di Bogdanovich (L'ultimo spettacolo) o di Tsai Ming-Liang (Goodbye Dragon Inn), eppure c'è lo stesso senso crepuscolare di un qualcosa di irrimediabilmente perduto, qualcosa di più di un semplice luogo d'aggregazione, la cui testimonianza migliore sta in quella memoria collettiva fatta di voci vivaci e commosse, filtrate attraverso uno spirito cinico e salace quale quello fiorentino.

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