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Vedere Viale del tramonto è sempre una boccata d'aria pura

Il film di Billy Wilder staziona sul podio del cinema di tutte le epoche. Non è un film, è un’opera d’arte generale del secolo scorso.
di Pino Farinotti

Gloria Swanson (Gloria May Josephine Svensson) 27 marzo 1899, Chicago (Illinois - USA) - 4 Aprile 1983, New York City (New York - USA). Interpreta Norma Desmond nel film di Billy Wilder Viale del tramonto.
lunedì 21 luglio 2025 - Focus

In un’ora decente, prima serata, RaiMovie ha trasmesso Viale del tramonto. Non è un film, è un’opera d’arte generale del secolo scorso. Nella mia gerarchia personale, che non è solo la mia, il film di Billy Wilder staziona sul podio del cinema di tutte le epoche. L’ho visto centinaia di volte e sempre ci ho scovato qualcosa che non avevo rilevato. Questa volta il valore in più che mi ha incantato è il bianco e nero. Nella mia recensione sul “Farinotti” concludevo: “Il tutto fotografato con un bianco e nero pericoloso che sottende un’angoscia continua. Questo film non è un noir, non è drammatico tradizionale, non è fantasy, è semplicemente Viale del tramonto.”

Diciamo che la visione del bianco e nero non si ferma al sentimento all’“angoscia continua”, è qualcosa che sorpassa l’estetica per diventare elemento di arte concettuale. È un tema che mi sta a cuore, che ho sviluppato in un saggio su Ladri di biciclette (guarda la video recensione) ritenuto il campione del realismo. 

Se dici “realismo” significa realtà, verità, “naturale”, documento. Nel film ci sono almeno due elementi forti a contrastare. La musica: gran parte del racconto è sostenuta dallo spartito di Cicognini, che aderisce alle sequenze secondo il compito della musica da cinema, che è quello di rilanciare, sottolineare, magari enfatizzare il momento. Dico che quel film poteva persino non averne bisogno. L’estetica e gli episodi posseggono tutta la potenza necessaria. Sarebbe un esercizio interessante, e suggestivo, vedere il film senza musica. E poi il bianco e nero. La realtà è colorata. Nella Roma depressa del dopoguerra le facce, gli abiti, gli edifici, il Tevere, avevano un colore, che non sarà stato quello della Paramount, saranno stati toni deboli, nebbiosi, e chissà di che colore era la giacca di Antonio, il papà, o i pantaloncini di Bruno, il bambino. Se tu a un’estetica di verità, di colore, decidi di applicare il bianco e nero in forma così “identitaria” e decisiva, compi un’azione concettuale. Non c’è dubbio. Dunque è corretto affermare che Ladri di Biciclette (guarda la video recensione), manifesto del realismo, è “anche” un’opera concettuale.

La digressione ha un senso, omologa, seppure in culture e registri diversi, i due b/n.

In Viale del tramonto il non colore, di quella straordinaria qualità, rilancia il dramma e la differenza con la proposta televisiva martellante e inutile dei talk politici che non smuovono un’idea, dei quiz stucchevoli e invasivi, degli eterni delitti mai risolti. Tutti momenti implacabili che fagocitano il sentimento, la speranza, il pensiero, la sostanza buona che quel media, salvo momenti, pochi, cerca di seppellire. A scapito soprattutto dei giovani e giovanissimi destinati a quell’indottrinamento rovinoso. Questo in generale, sappiamo, ma poi, ecco il dono inatteso, che si fa largo a fatica in tanto trash, di un’opera, come scritto sopra, che sta nella storia dell’arte e della cultura. E “quel” bianco e nero, un valore che contrasta, si afferma e arriva a noi, perché non esistono programmi in b/n. Viale del tramonto è un antidoto, un deterrente, una boccata d’aria pura. Forse c’è dell’enfasi in questi concetti, ma ho trascorso con la famiglia, tutti immobili sul divano, quella due ore, e così perdono me stesso per l’enfasi.  
 


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In foto una scena del film.

Il regista Billy Wilder (1906- 2002) viennese, nacque da una famiglia ebrea di origine polacca. Studiò a Vienna e a Berlino. Nel 1933, con l’ascesa al potere di Adolf Hitler espatriò negli Stati Uniti, poi arrivò… a Hollywood. La sua profonda cultura europea legata soprattutto all’espressionismo, fu la base per l’integrazione col senso dello spettacolo hollywoodiano. Wilder decise per una mediazione che fece di lui il più americano dei registi americani. Non è improprio dire “nessuno come lui”. Cito i titoli che gli hanno dato l’Oscar, ben sette fra film e regia: Giorni perduti (2), Viale del tramonto, L’appartamento (3) e l’Oscar alla carriera. Senza Oscar ma film del mito, A qualcuno piace caldo. Wilder è il profeta, al massimo livello, della commedia brillante, senza trascurare capolavori noir come La fiamma del peccato. Viale del tramonto contiene tutto senza dichiararlo.

Ecco il racconto del film. Joe Gillis (William Holden), sceneggiatore di Hollywood, è in un momento di difficoltà professionale. Per sfuggire agli esattori (non sta pagando le rate della macchina) capita in una vecchia casa che sembra abbandonata, ma non lo è. La abita Norma Desmond (Gloria Swanson), vecchia gloria del muto. Joe accetta di rivedere un terribile copione che la diva sta scrivendo, sognando un clamoroso ritorno sul set. L’atmosfera della casa è nera, buia, quasi ferale. La diva proietta continuamente suoi vecchi film, gli ospiti sono mummie sopravvissute (c’è Buster Keaton fra i frequentatori). Figura rilevante è il domestico von Mayerling (Erich von Stroheim) che, si verrà a sapere, è anche stato il primo marito di Norma. La donna finisce per innamorarsi del giovane, a sua volta innamorato di una sua collega coetanea (Nancy Olson). Gillis per un po’ accetta la situazione del mantenuto, poi cede. Ma Norma, ormai impazzita, gli spara mentre sta andandosene. L’uomo cade nella piscina, simbolo delle cose che aveva tanto desiderato.

Storia solo cinematografica, dovuta a sceneggiatori puri come Charles Brackett e D. M. Marshan e allo stesso Wilder (premi Oscar). La vicenda viene raccontata da Gillis che è già morto, in terza persona. La sceneggiatura prevedeva che il personaggio, portato all’obitorio, addirittura dialogasse con gli altri morti. La voce narrante, accompagnata dalla musica di Franz Waxman (premio Oscar) che anticipa nei toni tutta la tragedia che avverrà, attraversa il film rilanciando l’efficacia del racconto. Tutto quanto è nello specifico cinematografico: i discorsi sul cinema, la vita degli studi, persino il mitico cancello d’ingresso della Paramount. La Desmond vive la tragica nostalgia del cinema muto: «Noi eravamo grandi, è il cinema che è diventato piccolo», e De Mille interpreta sé stesso con tanto di stivaletti e piglio autoritario: sta girando Sansone e Dalila quando la vecchia diva gli piomba sul set. Una menzione per William Holden, trentaduenne, che finalmente si affermò come meritava, e che sostituì all’ultimo momento il complicato Montgomery Clift, intimorito dal ruolo. Il tutto fotografato con un bianco e nero pericoloso che sottende un’angoscia continua. Questo film non è un noir, non è drammatico tradizionale, non è fantasy, è semplicemente Viale del tramonto.


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