Beef - Lo Scontro

Danny cerca di restituire alcuni acquisti in un grande magazzino della catena Forsters, ma non ha la ricevuta e si deve riportare a casa gli scatoloni. Nel parcheggio, da un suv bianco, qualcuno gli suona violentemente il clacson e poi se ne va mostrandogli il dito medio dal finestrino. Danny non ci sta e dà inizio a un inseguimento in mezzo al traffico. È l'inizio di una faida tra lui e Amy, uno proletario con una piccola impresa di costruzione e riparazione e l'altra con un business prossimo a essere acquisito per una importante cifra proprio dalla catena Forsters. La rabbia che entrambi covano dentro rischia di portare le loro vite a una irreversibile implosione.

Prodotta da A24, come Euphoria e il super premio Oscar Everything Everywhere All at Once, Lo scontro è prima di tutto un testa a testa tra due ottimi interpreti.

Sono infatti Steven Yuen e Ali Wong a tenere banco per tutti gli episodi con il loro "Beef" - la traduzione italiana non rende il titolo originale, che indica più una prolungata faida in cui cova il rancore che non semplicemente Lo scontro.

Yuen e Wong mettono i panni di due esseri umani profondamente problematici, capaci di gesti sconsiderati che scopriamo essere proprio quelli che gli danno più piacere, che li sollevano dal peso della loro routine. Una routine molto diversa, ma in entrambi i casi caratterizzata da lavoro, responsabilità e sensazione di essere incompresi. Scopriremo poi nel corso della serie che l'incomprensione è connaturata ai segreti che covano dentro e non hanno mai avuto il coraggio di confessare.

Se questa black comedy, che si fa via via più drammatica, ha un difetto strutturale è nell'eccessivo psicologismo per cui le motivazioni del presente dipendono chiaramente dal passato. In questo modo due figure che incarnano la diffusa insoddisfazione dei nostri tempi, sempre pronta a esplodere, diventano fin troppo caratterizzate e perdono di universalità.

D'altra parte la serie dura dieci episodi e per giustificare la durata doveva approfondire, ma in questo modo quel che era un racconto allegorico perfetto per la durata di un film, emblematico della rabbia irrazionale che vediamo in innumerevoli fatti di cronaca, perde parte della propria valenza simbolica. Guadagna però nel ritratto di due esseri umani che non vuole renderci mai troppo simpatici, di cui non teme di mostrarci bassezze anche imperdonabili.

Danny e Amy non sono gli unici personaggi della serie attraversati da questa rabbia e, nel corso degli episodi, si aprono diverse altre faide "minori", che arricchiscono un affresco tematicamente molto coerente. Il taglio rimane per lo più realistico, ma cova un fuoco che dovrà necessariamente divampare negli ultimi episodi.

Infatti nel nono si salta oltre il punto di non ritorno, si bruciano ponti a destra e a manca, in un tripudio di azioni estreme che non possono essere riparate e sfociano anche nell'iperviolenza. Si va insomma molto sopra le righe, recuperando il tono black comedy dell'inizio e portandolo all'eccesso. Fino a qui tutto bene: la serie avrebbe potuto avere una chiusura secca e dolorosa in questo episodio. Ma di puntata ce n'è un'altra, che fin dall'inizio sposta la vicenda in un territorio surreale, con un dialogo tra corvi sottotitolati.

È qui che la serie diventa vittima del brand A24 e incede in stramberie varie, autoironiche con gusto molto hipster, che sembrano quasi prese di peso da Everything Everywhere All at Once, dove a parlare sottotitolati erano due sassi. Ma se nel film dei Daniels quel quid di follia era in linea con il tono e la trama, qui appare appiccicato per firmare un finale di culto, distintivo della casa di produzione. Si tratta comunque di un peccato perdonabile per una serie che - fino al penultimo episodio - innerva di tensione la quotidianità, proletaria e borghese, dei suoi arrabbiati protagonisti, trasmettendo l'angoscia di un inestirpabile mal di vivere. 