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Rassegna stampa di Sophia Loren

Sophia Loren (Sofia Villani Scicolone) è un'attrice italiana, è nata il 20 settembre 1934 a Roma (Italia). Sophia Loren ha oggi 90 anni ed è del segno zodiacale Vergine.

DAVE KEHR
The New York Times

These days, all it takes to be labeled a diva is to release a couple of pop albums in a row and exhibit some bad behavior in public. But at least two extraordinary examples of the genuine article continue to walk the earth: Sophia Loren, 73, and Catherine Deneuve, 64. This week Lionsgate Entertainment honors these two near-mythological figures of the European cinema with boxed sets of seldom-seen films.
Although their careers overlap — Ms. Loren’s first film dates from 1950, Ms. Deneuve’s from 1957 — they represent two very different traditions. Both have regularly crossed the Alps, Ms. Loren to appear in French-language films and Ms. Deneuve in Italian ones, but they seem to belong to sovereign territories of their own, which barely have diplomatic relations.

SILVANA GIACOBINI
Drettore di Chi

Era un quartiere borghese alla periferia di Roma e comprendeva viale XXI Aprile, piazza Armellini, via Ugo Balzani e dintorni. Questo è lo sfondo in cui visse Sofia Scicolone, con la madre Romilda Villani e la sorella Maria, all'inizio della carriera. Prima di arrivare a Roma in cerca di fortuna nel cinema, Romilda aveva vinto un concorso come sosia di Greta Garbo e sbarcava il lunario impartendo lezioni di pianoforte. Il padre delle due ragazze, Riccardo Scicolone, sognava di diventare ingegnere ed era discendente, si diceva, da una famiglia siciliana di nobili origini, gli Scicolone di Muriulo, ma soprattutto era un cacciatore di belle donne e aveva ben poca voglia di sposarsi, tanto meno con l'affascinante Romilda. Aveva, sì, riconosciuto le figlie, ma non aveva mai contribuito alloro mantenimento, lasciando la famigliola in ristrettezze.
Sofia aveva appena iniziato quella carriera che l'avrebbe portata a scalare il successo fino a conquistare Hollywood e a incontrare la regina Elisabetta. Intanto entrava spesso in un bar di viale XXI Aprile vicino a piazza Bologna e lì, ancora truccata col cerone azzurrino di scena, offriva caffè e brioche a un gruppo di giovani matricole universitarie entusiaste della sua bellezza. La sorella minore Maria, molto timida e strettamente legata al piccolo nucleo familiare, anche a causa della giovanissima età viveva all'ombra di Sofia. Entrambe avrebbero risentito per sempre della mancanza della figura paterna.
Sofia, a sedici anni o poco più, incontrò Carlo Ponti, l'uomo che avrebbe sposato dopo aver superato di poco la ventina. Il dottor Carlo Fortunato Pietro Ponti aveva ventiquattro anni più di lei ed era nato a Magenta, vicino a Milano. Nel 1940, quando Sofia aveva circa sei anni, Ponti aveva prodotto il suo primo film destinato al successo, Piccolo mondo antico. La regia era di Mario Soldati e gli interpreti Alida Valli e Massimo Serato, l'attore che avrebbe fatto perdere la testa e dato un figlio ad Anna Magnani. Anna nel 1955, con La rosa tatuata, fu una delle due attrici italiane a ricevere l'Oscar; l'altra, con La ciociara, sarebbe stata proprio la giovanissima protetta del produttore nota in tutto il mondo con il nome di Sophia Loren. Intanto, a sei anni, Sofia Scicolone era una bambina gracile che, crescendo, sarebbe diventata così alta e magra da essere soprannominata “Stecchino”. Ma a quindici o sedici anni era già la “maggiorata” che avrebbe sedotto il produttore e il pubblico di tutto il mondo.

GIUSEPPE MAROTTA

A Napoli, un giorno, si risvegliò con Sofia Loren sotto il guanciale. Il Vesuvio trattenne il fiato; le isole palpitarono ansiose nella garza dei vapori mattutini; i pesci di Marechiaro, sotto la digiacomiana finestrella, smisero tutt'a un tratto (salvo a riprendere con maggiore impegno, furiosamente, dopo qualche minuto) di fare all'amore; stupirono il cielo di seta e i verdi, aggrovigliati giardini di Posillipo; risero le acque di Santa Lucia e tintinnarono di invisibili medaglie i petti degli scugnizzi aggrumati sulla scogliera di via Caracciolo; nelle zuppiere della «Zi' Teresa» e della «Bersagliera» le macchie rosse e pungenti delle aragoste divamparono come attizzate dal maestrale: nei suoi vicoli e nelle sue piazzette, nei suoi fondaci e nelle sue bettole, nelle sue mille friggitorie, negli innumeri suoi chioschi pavesati di limoni, ovunque, la città echeggiò di muti, dilaganti, irreprimibili evviva. Collega Assante, mio caro e vecchio (non d'anni) Arturo, che tu sia benedetto. Laudato sii per la nostra corporale sorella Sofia, oggi e sempre. Tu nell'agosto del 1949 ideasti e attuasti la gara di bellezza «Regina del mare», nella quale si cimentò, accorrendo in braccio alla mamma da Pozzuoli, anche l'acerba Sofia.
Quanti anni aveva in quel periodo la gemma degli Scicolone? Forse nemmeno sedici. A Vladimir Nabokov, il romanziere di Lolita, gli sarebbero venuti i «rescenzielli», cioè gli attacchi epilettici, se avesse fatto parte della Giuria. Anime del Purgatorio! Ma come ti reggesti in piedi, Assante mio? Quello sviluppo verticale già raggiunto; un'ansia di volo conclusa; e quelle premesse di come diavolo chiamarlo?, di spessore, di volume, un sorta di pacchetto di nivee cambiali per somme inaudite… pagherò per questa mia, con l'avallo di una beffarda luna che ammiccava dicendo: «Lasciatemi fare un paio di giretti ancora e vi mostrerò un lavoretto di scultura, o giudici, che vi taglierà il fiato… dovranno mettervi dal primo all'ultimo, nei polmoni d'acciaio, dove affettuosamente vi auguro di rimanere fino all'età critica, vostra e di Sofia». Ma Vladimir Nabokov non era presente e non poté gridare: «O la ninfetta di Pozzuoli, o nessuna!». Il titolo di «Regina del mare» fu dunque acciuffato da un'oscura, ventenne, Iole La Stella, figlia di un ufficiale dei carabinieri (della quale, poi, le cronache tacquero definitivamente); e faccio bene io che al Premio Marzotto o al Premio Strega non porgo che i miei storti e guerci saluti!
Bene. Dove, se non a Napoli, potevo meglio, con la fantasia, interrogare la gente sul miracolo di Sofia Loren? Da Caflish, sorbendo una deliziosa granita locale, il barone G. (che è sull'ottantina ma ha recentemente avuto un figlio dalla sua governante) mi disse: «Per carità. Non discuto il valore di Sofia. Ma avete letto, ieri, le sue dichiarazioni ai giornalisti parigini? Afferma che nessuno la batte nel flamenco. E soggiunge: Non sono poi tanto bella. Ho il naso troppo lungo e la bocca troppo grande… ma c'è il resto, no? Mannaggia. Che tempi, egregio signore, che tempi. Nel 1910 o nel '20, le donne si offendevano, o pareva che si offendessero, quando gli uomini si interessavano palesemente ai loro vezzi esteriori. Ci accusavano di platealità, di materialismo. Volevano essere apprezzate, desiderate per i loro connotati spirituali. D'accordo? Intuivano che la bellezza, da sola, non fa romanzo e non fa poesia… che dico, non fa nemmeno carta d'identità. In che differiscono, per un maschio da flamenco, una regina formosa e una sguattera formosa? Entrambe agitano, frullano, anzi, gli stessi argomenti». Io dissi: «Be', e vi sembra poco?». Il barone G., ravviandosi gli argentei capelli, obiettò: «È molto ed è niente. Le signore di cinquant'anni fa lo avevano capito. Accentuavano con tutte le risorse della moda, come oggi, il mite o perentorio sex-appeal che avevano, ma sospiravano: Ah le albe. Ah i tramonti. Ah l'usignuolo. Ah Petrarca. Ah Chopin…, eccetera. Studiavano l'arpa. Frequentavano concerti e musei. Potevano anche non essere ciò che parevano, forse non si trattava che di un atteggiamento, ma un atteggiamento che senza dubbio le migliorava, le ingentiliva, era obbligante come, per gli uomini dozzinali, il frac in società. Anche il risultato dei risultati, allora, si avvantaggiava dei sospiri dedicati all'usignuolo o a Petrarca. Indurre quelle anime ad essere corpi, voi m'intendete… Era una specie di febbrile, di esaltante pionerismo. Datemi retta, non è ammissibile che l'iniziativa del morso al frutto proibito l'abbia avuta (serpente o non serpente nella buca del suggeritore) la mitica Eva. Fu Adamo, cocciutamente, a persuaderla. «E ti prego. E fallo per me. E no, quel colombo non sta affatto guardando noi…». Dissi, rabbrividendo: «Uh. Mi pare di esserci, barone». E lui, deponendo il cucchiaino: «Bravo. E se no Adamo avrebbe accolto quieto quieto la punizione che Domineddio gli inflisse? Figuriamoci, quello accettava senza un gemito lo sfratto e il resto! No, Signore, avrebbe detto, subissa Eva, io che c'entro? Invece afferrò la mano, e via di corsa. Non vedeva il momento di ricominciare a balbettarle: E su. E fallo per me. E no, quelle fatiche e quei dolori non stanno affatto aspettando noi». Dissi: «È probabile. Ma dove, se è lecito, volete arrivare?». Il barone G. ordinò una seconda granita e disse: «Alla nostra epoca. Nell'anno di grazia 1959, la carne è tutto. Oggi, per la donna, la bellezza è l'unica moneta da spendere. Una Loren che dopo aver citato le imperfezioni del suo volto conclude: Ma c'è il resto, no?, m'imbarazza. Addio pionierismo del maschio. Qui andiamo verso il più crudo pane al pane e vino al vino. Comunque, sposerei immediatamente Sofia. Gradisce, ho letto, gli uomini d'età. E Carlo Ponti, vorrete convenirne, è al mio confronto uno sbarbatello».

GIUSEPPE MAROTTA

Cavallina mondiale

Attenzione, Sofia, non illuderti, non sognare, come attrice, di essere un frutto per ogni guscio. Gina Lollobrigida, la tua grande emula, non avendo riconosciuto i propri limiti e non essendosi avvinghiata alla cinematografia italiana che la espresse come un ciliegio esprime la ciliegia, ha declassato e umiliato, per correre la cavallina mondiale, un paio di ottimi registi (Siodmack, Delannoy) che non le avevano fatto nulla di male. Ed ha soprattutto nociuto a se stessa. C'è da meravigliarsene? Le belle puteolane o ciociare nascono parenti e amiche non solo dei Campi Flegrei e delle spumose colline di Fondi gialle d'aranci, ma anche di Flaiano e di Blasetti, di Moravia e di Zampa, di Margadonna e di Risi, di Zavattini e De Sica. Non di Ben Hecht e di Jules Dassin, o di Tennessee Williams e di John Ford. No, no: quando non c'è una tonnellata di genio, questo difficile connubio, questa «mésalliance» non avviene mai. «Pizzaiola» e «Bersagliera» potevano emigrare ed emigrarono come tali, senza muoversi da Roma: qualunque trapianto le sbaglia, le deforma, le travisa, e addio. Pensaci, cara Sofia, e non vergognarti né della tua bellezza meridionale (pazza, scentrata e asimmetrica bellezza, che ritrae appunto la nostra dolce e convulsa terra), né delle «pizze» che simboleggiano e compendiano le viuzze e la gente di Napoli. Grida, anzi, agli stranieri: «Come no, sono affascinante, con le grazie mie non si ragiona, ecco qua, mi annetto l'America, la napoletanizzo dal Montana e dalla Pennsylvania alla California e alla Florida; la riempio fino all'orlo, egregi signori, di pizze». Così vincerai ti dico: altrimenti guai a te.

Il ragazzo sul delfino - 1
Sviscerai come seppi, al tempo di Pane, amore e... i balli di Sofia. Quelle gambe concrete e astratte, lunghe come le notti di Natale; quei fianchi torpidi e guizzanti come schiene di gatti; quell'iperbole di seno che ora la vanta e ora la denigra, che ora l'accompagna e ora s'invola, non proibitemi di chiamarlo un seno biblico, viaggiante, che pare simboleggi le migrazioni di Israele, gonfie d'avvenire.

Il ragazzo sul delfino – 2
È una rosea benda, Sofia: rinnova con ogni suo film il miracolo giudiziario di Frine.

Orgoglio e passione - 1
Come abbiano conciato, allo scopo di siviglizzarlo, il già notevolmente asimmetrico volto di Sofia, non dico; ma le resta il corpo, a voi notissimo, e per il quale mi domando: quei giovani alla macchia, inselvati, mezzo abbrutiti, come diavolo fanno a guardarlo impunemente? Figuratevi, mi sorrise nella memoria la barzelletta del fanciullo a cui il confessore aveva detto: «Se continui a sbirciare le gambe di tua cugina, quando la spingi sull'altalena, diventerai cieco». Il ragazzo, impaurito, si negò per molti giorni a quell'impulso; ma dai e dai, una mattina si coprì l'occhio destro con la mano e lasciando che il sinistro gli diventasse una fornace sibilò: «Uno me lo gioco!». In altre parole: è mia ferma opinione che una guerrigliera come Sofia-Juana avrebbe soffocato la rivolta spagnuola, diffondendovi l'omicidio, l'inerzia, la spinite. Ma il cinema ha le sue leggi sceme: e la prima è quella di introdurre i cavoli del sesso in qualunque merenda.

Orgoglio e passione – 2
Come si addicono a Sofia le notti all'addiaccio! Tutto diventa coltre e giaciglio intorno a lei; piante, sassi, erbe, profili di montagne, luna, brezza, sospirano: «Addio, sonno, e finita»; e Sofia dondola o s'inarca o danza muovendo il seno a trapano, affidandolo per attimi all'aria (come un più leggero dell'aria) e quindi recuperandolo o imbrigliandolo, quasi dico riassimilandolo: in tal modo che ce ne sentiamo, Dio ci assolva, derubati.

Orgoglio e passione – 3
Trucco e fotografia hanno imbruttito Sofia, ripeto, conferendole un che di negroide. E la sua recitazione? Vergine santa. Dice che vuole un Oscar
e magari (l'America è terra di prodigi) lo avrà. Si muove con la naturalezza di un'agnella bendata; piange come un bicchiere nel pugno di un ubriaco. Uscii balbettando: «Povera Sofia, dove ti ha condotto la guida che hai scelto».

Perdutamente suo
Il segno di Venere è, a breve distanza da quello di Peccato che sia una canaglia, un altro suggestivo album della squassante bellezza di Sofia. Dalle prime inquadrature lo spettatore è suo, « perdutamente suo», nel clima delle canzonette del Festival di San Remo. «Essere con una ragazza simile in una valle fiorita, avvolgerla come l'acqua del torrente», pensa, nella sua poltrona, il barbiere o il magistrato, l'impiegatuccio o l'ufficialetto, il commesso o il baroncino. Signori, fate il vostro giuoco fantastico, la roulette è in movimento, rosso, nero, pari, dispari, niente va più. A spettacolo terminato, usciamo spossati e gloriosi, tutti abbiamo fatto saltare il banco e tutti ci siamo rovinati: che fortuna e che disdetta, Gesù.

MARIO SOLDATI

Conosco Sofia Loren da quando era poco più di una fanciulla. Fece con me una piccola parte: e poi, uno dei primi film di cui fu protagonista. La lavorazione durò circa tre mesi: due in esterno, nel Ferrarese. Vuoi dire che per un'intera stagione ci siamo visti ogni giorno. Vuoi dire che lei ha così potuto conoscere i miei difetti, e io apprezzare le sue qualità. Vuoi dire, in par-ticolar modo, che io ammiro, fino da allora, la bellezza e l'arte di questa «massima» attrice del nostro cinema. Tuttavia, soltanto in questi ultimi tempi, da quando cioè non vedo più Sofia in carne e ossa se non rarissimamente (lei sempre in giro per il mondo, oppure a Roma: e io basta viaggi, e a Roma il meno possibile!), soltanto adesso mi capita, e mi capita, devo dire, con una certa frequenza, di sognarla.

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