Barbara Steele, Barbara Shelley, Freda Jackson, Elizabeth Sheperd...le grandi attrici che furono anche «cult sirens» del genere horror, specializzate in urla sovraumane, destinate a morti orribili. Le regine della paura, le «scream queen», belle e terrificante a un tempo, seducenti e respingenti, tanto da far impazzire e trascinare nel delirio o nella tomba anche gli uomini più mefistofelici e indistruttibili come Vincent Price o Boris Karloff. Ma votate perennemente alla sconfitta.
Adesso un altro di questi miti dello schermo ci ha lasciato. A 82 anni è morta dopo un attacco di cuore nella sua villa sul lago Tahoe, in California, l'attrice (e scultrice e pittrice) inglese Hazel Court, la «rossa» protagonista dei due momenti (e movimenti) più conturbanti del genere nel secondo dopoguerra. Nata il 10 febbraio 1926 a Handsworth, Birmingham, figlia di un campione di cricket, attrice di teatro e poi scritturata dagli Ealing Studios, esordì nel 44 (addirittura sotto le esperte mani di Albert Cavalcanti, il futuro regista e produttori degli studios brasiliani Vera Cruz) in Champagne Charlie. In Gaiety George è Elisabeth Brown nel bio-film su George Howard, impresario teatrale irlandese. Il suo personaggio le viene cucito perfettamente addosso da Leontine Sagan, regista lesbica di Ragazze in uniforme (esule dalla Germania in Gb) e da Geroge King. Ma il primo trionfo cult è del 1954, quando il suo personaggio, Miss Nyah, proveniente da Marte, giunge sulla terra per raccattare uomini sufficientemente validi da creare una razza superiore. Perché le marziane, femministe ante litteran, hanno già distrutto sul loro pianeta tutti i maschi. Ma «cult siren» diventa solo nel 1957.
L'Hammer film chiede a lei di lasciare morsi emozionali indelebili nei corpi degli spettatori dei capolavori gotici di Terence Fisher. Infine, chiamata in America dalla Cbs, e poi moglie del regista Don Taylor (L'isola del dott. Moreau) fino alla sua morte nel '98, sarà consacrata dalla saga di Roger Corman tratta da Edgar Allan Poe. Ricordiamo i titoli di quei classici, Sepolto vivo, I racconti del terrore, La maschera della morte rossa (con il secondo) e The curse of Frankenstein e The man who could cheat (con Fisher)... Per completare la sua lunga filmografia aurea (e anche molto televisiva) basterà ricordarla nelle indimenticabili performance in Ai confini della realtà e Alfred Hitchcock presenta (dove il suo personaggio finisce nel forno, arrostito dal suo cannibalesco coniuge).
Da Il Manifesto, 18 aprile 2008