Rodolfo Valentino (Rodolfo Alfonzo Raffaelo Pierre Filibert Guglielmi di Valentina d'Antonguolla) è un attore italiano, è nato il 6 maggio 1895 a Castellaneta (Italia) ed è morto il 23 agosto 1926 all'età di 31 anni a New York City, New York (USA).
Perito agrario mancato, a 18 anni Rodolfo sbarca in America in cerca di fortuna: dopo aver vissuto qualche periodo dormendo sulle panchine al Central Park di New York, si fa assumere come lavapiatti in un night-club, e grazie alla sua prestanza e alle sue doti nella danza, comincia ad accompagnare alcune note ballerine. Dopo aver ottenuto alcune comparsate, il fascinoso Rodolfo Valentino (il nome è ormai assunto come pseudonimo dal giovane Guglielmi) debutta sullo schermo nel 1919, e per qualche anno interpreterà solo ruoli da 'mascalzone' latino antagonista, fino a quando, nel 1921, viene notato da una talent-scout di nome June Mathis, la quale propone alla Metro Goldwyn Mayer di farne il protagonista della pellicola di genere avventuroso, I quattro cavalieri dell'Apocalisse (The Four Horsemen of the Apocalypse, 1921) di Rex Ingram, di cui rimarrà memorabile la scena in cui Valentino balla con grazia e sensualità un appassionante tango. Nonostante il successo ottenuto dall'attore in questo film, lo Studio lo impiegherà successivamente solo come comprimario in film di poco conto, sino a quando la Paramount lo ingaggia, offrendogli un vantaggiosissimo contratto, come protagonista de Lo sceicco ("The Sheik", 1922) di George Melford, un film misto di avventura e sentimento, in cui Valentino, nel ruolo di un ambiguo quanto seducente sceicco arabo, infiamma lo schermo grazie al suo magnetismo e al suo conturbante fascino mediterraneo. A partire da questo film Valentino diventerà il prototipo dell'amante straniero dotato di fascino tenebroso, elegante e non privo di ambiguità, con lo sguardo torbido e le labbra sottilmente crudeli, caratteristiche esaltate da produttori e registi. Intanto l'attore, dopo un infelice matrimonio neanche consumato con l'attrice Jean Acker, aveva cominciato un'appassionata quanto tormentata storia d'amore con la sofisticata ed affascinante stilista Natacha Rambova, che voleva trasformarlo in un attore più raffinato. Nel giro di pochi anni Valentino sarà il seduttore sedotto in Sangue e arena ("Blood and Sand", 1922) di Fred Niblo, e un Robin Hood della steppa ne "L'aquila nera" (The Eagle, 1925) di Clarence Brown; infine comparirà nel doppio ruolo del giovane sceicco e di suo padre ne Il figlio dello sceicco ("The Son of the Sheik", 1926) di George Fitzmaurice, girato quando la Rambova (che intanto era diventata sua moglie) lo aveva già abbandonato e il suo fisico cominciava a dare i primi segni di cedimento. Rodolfo Valentino sarebbe morto di peritonite prima della proiezione di quest'ultimo film, il 23 agosto 1926, a soli trentuno anni, e i suoi funerali si sarebbero trasformati in un evento epocale con partecipazione oceanica, svenimenti e persino suicidi. Nella sua folgorante quanto breve carriera Valentino fu consacrato al successo grazie soprattutto alla sua bellezza e al magnetismo che la sua figura sprigionava; fu forse uno dei primi sex symbol maschili portati alla ribalta dal cinema, divenendo in breve - forse anche in conseguenza della sua morte precoce - un'icona destinata ad entrare nella memoria collettiva, e ad essere rievocato in tutte le epoche, come dimostrano la rivista Ciao Rudy di Garinei e Giovannin negli anni '60 o il film Valentino di Ken Russell con Rudolf Nureyev (1977).
Valentino diceva che il marmo è l’ideale per il tango».
Così Gloria Swanson, alias Norma Desmond, in Viale del tramonto di Billy Wilder. La decaduta diva del muto appariva già distante in quel film del ‘so: figuriamoci oggi. Valentino e la Swanson appartengono a un mondo scomparso. Leggendario e ovattato, avventuroso ed esotico. Dei divi del muto come Valentino oggi si ricordano (oltre alla moda) solo le enciclopedie del cinema. Nato il 6 maggio 1895 a Castellaneta (Taranto), quest’anno Valentino avrebbe ilo anni. Come il cinema. Partito alla fine del 1913 per New York, aveva fatto il ballerino e il giardiniere. Sfuggito alla febbre spagnola, era entrato nell’entourage di Mary Pickford e aveva lavorato come ballerino di vaudeville. In effetti l’immagine che più lo identifica è quella in cui balla, cappello da gaucho e fusciacca in vita, in I quattro cavalieri dell’Apocalisse. Elegante, femmineo, con i capelli scuri, lisci, impomatati. Il “più grande baciatore” del mondo. O amatore, come nell’omonimo film-parodia di e con Gene Wilder. Difficile oggi capire perché il suo nome sia diventato sinonimo, marchio depositato di latin-lover italiano nel mondo. Come comparsa danzante in Alimonia (suo debutto nel cinema), era stato prima relegato al ruolo di villain: ricattatore in L’avventuriero, seduttore in Sfortunato. E ancora danzatore e malvivente in Il ladro di perle e spregiudicato in Occhi della giovinezza. Dopo il primo matrimonio con Jane Acker, nel 1919, durato poche
ore, l’incontro determinante con June Mathis, capo sceneggiatrice alla Metro: creò per lui il seduttore latino Julio che l’ha reso immortale, ma anche il torero di Sangue e arena (poi rifatto da Tyrone Power nel film di Mamoulian) e lo studente innamorato in La signora delle camelie. Amante della forma fisica e della velocità, ha rappresentato il fascino irresistibile dello straniero, dell’Altro. È stato il Cobra, il seduttore che ipnotizza e fa cadere le donne. L’antagonista della virilità ottimista, bionda, all’american di Douglas Fairbanks. Nell’epoca in cui il cinema elaborava e raffinava il primo piano, e prendevano forma i concetti di uffici stampa, di make up - nel senso di costruzione dei divi. E di fanatismo di massa. Quel fondamentale ruolo del pubblico che, dopo l’ubriacatura dei Universal studies, è stato giustamente rivalutato nello studiare il cinema e le sue icone. Ancora più importante è stata l’apertura che l’immagine di Valentino ha dato ai concetti di razza - assimilato com’era all’arabo in Lo sceicco e Il figlio dello sceicco — e sesso: perché i creatori della sua immagine avevano intuito che la star dovesse piacere a uomini e donne. Anche per questo, nel suo indigesto ma curioso Valentino, Ken Russell è stato geniale a dare la parte del grande amatore a Rudolf Nureyev. Che ne descrive la parabola breve, il secondo matrimonio e i viaggi con la scenografa Natasha Rambova (che malgrado il nome, era irlandese). E la loro sontuosa tenuta a Beverly Hills, l’incontro di pugilato col giornalista newyorkese, le decine di migliaia di fan in tumulto ai suoi pomposi funerali, dopo “solo” 31 anni da star.
Nei suoi panni si è calato anche Franco Nero, in un Tv movie di Melville Shavelson. A teatro, Marcello Mastroianni nel fortunato Ciao, Rudy di Garinei e Giovannini. Al Sistina, nel 1966 c’era David Mernck il re di Broadway per comprare lo spettacolo: ma Mastroianni aveva già detto sì a Fellini (che un tributo a Rudy lo aveva dato nello Sceicco bianco) per Il viaggio di Mastorna E c’era anche la Swanson. Probabilmente, pensando a quel mondo perduto, avrà ripetuto una battuta inequivocabile: «Io sono sempre grande. È il cinema che è diventato piccolo».
Da Film Tv, n. 18, 2005