Al Meet digital culture center la DNA Production ha presentato il film Io Salvatore, firmato da Francesca Bocchicchio. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti
Al Meet digital culture center, uno degli scenari più importanti e prestigiosi di Milano, la DNA Production ha presentato il film Io Salvatore, firmato da Francesca Bocchicchio.
Prima di raccontare il film ritengo che meriti un’istantanea la “DNA”.
Nasce nel 2004 con un cast di professionisti del settore audiovisivo che fanno capo a Giovanni De Santis, che ha dato alla “produzione” un’identità di qualità e cultura per contrastare il dominio di certe offerte, dal budget infinito: supereroi, superfantasy, superanimazione, roba per lo più anglosassone, che fagocita il mercato. Occorreva dunque applicarsi a delle alternative che potessero attrarre un target, certo ridotto, estraneo ai “super” detti sopra. Un target che possiamo definire medio-alto. Occorreva battere i mercati per trovare prodotti con caratteristiche di qualità che possedessero anche valori di spettacolo indispensabili in un film
Quei mercati possono essere il Festival di Cannes, la Berlinale, il MIA di Roma, la Mostra del Cinema di Venezia. E poi il Sundance americano, e poi Toronto e Tokyo. E’ una ricerca capillare, non semplice e comunque occorre investire.
La “DNA” possiede un magazzino di oltre 500 film offerti dalle più importanti piattaforme del settore a cominciare dal sito MYmovies.
Alcuni titoli distribuiti nelle sale è legittimo ricordarli, come Amerikatsi, diretto da Michael A. Goorijan e Il pane nudo firmato dal pluripremiato regista algerino Rachid Benhadj.
Dove la “DNA” è particolarmente attiva sono i documentari. E lì la produzione si batte con particolare energia. Sono molti i titoli riferiti alla società, all’arte, a diverse discipline. Può valere, come modello, l’idea del sindaco Giuliano Pisapia quando ha commissionato alla DNA una storia di Milano realizzata in dieci puntate GIANTS IN MILAN, una serie distribuita in Europa con sottotitoli, che fa testo sull’identità, sul sentimento, e sulla cultura dell’accoglienza della città.
Giovanni De Santis ha ottenuto la partecipazione di alcune delle personalità della società civile, della cultura e delle istituzioni, dal profilo più alto. Bastano alcuni nomi: Francesco Alberoni, Ferruccio De Bortoli, Giorgio Armani, Andrea Camilleri, Alfonso Signorini, Paolo del Debbio, Vittorio Feltri, Gabriele Albertini, Piero Sansonetti, Carla Fracci, Luciana Savignano, Ornella Vanoni, Sergio Escobar, Maria Luisa Trussardi, Mons. Borgonovo (arciprete del Duomo). E molti altri, quasi sempre milanesi o “adottati”, dello stesso profilo. E tutti intervengono con competenza e passione.
La DNA ha recentemente realizzato un docufilm dal titolo Maria Cristina Carlini Il coraggio della grandezza, che racconta la storia della scultrice, una delle più grandi nel panorama internazionale.
Tornando a Io salvatore. È drammaticamente di attualità. Sembra ormai assodato che la “vecchia” civiltà è in sofferenza. Niente funziona più, e tutti ne saremmo testimoni.
Il futuro presenta un orizzonte nebuloso e senza speranza. Le nuove generazioni vivranno in un mondo che non ha più niente da offrire. E allora ecco profilarsi la necessità di una rivoluzione radicale, che cambi davvero il mondo. Ed ecco la soluzione, indispensabile, inevitabile, l’intelligenza artificiale. Solo che cambiare il mondo significa cambiare il potere e una delle virtù, se dobbiamo chiamarle così, dell’AI non è certo la generosità e l’attenzione agli altri.
A rappresentare l’AI nella sua identità e nella sua astrazione ecco Salvatore, a sua volta un “artificiale” un umanoide che vive in una fattoria fra le colline della Basilicata. Sostiene due anziani che sopravvivono, tristemente, in un mondo che sembra ignorarli. I due sono affezionati a Salvatore, la donna vede in lui il figlio perduto. La vita semplice, basica della coppia sono comunque un segnale di vita per l’umanoide, estraneo alle manifestazioni umane, che sussistono al di là della rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Salvatore ha modo di ragionare, secondo una visione buona e tradizionale.
La regista Bocchicchio cerca dunque di portare il suo contributo di umanità dimenticata, in un momento storico in cui un segnale del genere può essere utile.