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Dei 90 anni di Gino Paoli 70 sono di stile e poesia

Le canzoni di Gino Paoli rappresentano gli anni Sessanta italiani. Di Pino Farinotti. 
di Pino Farinotti

venerdì 27 settembre 2024 - Focus

Quanti bei novantenni stiamo raccontando in questi mesi: Brigitte Bardot, Ornella Vanoni, Sophia Loren e lui, Gino Paoli. Qualche tempo fa in un talk l’argomento erano gli anni Sessanta e le loro canzoni. Nessuno osava contraddire l’idea che quello è stato il decennio eroico delle canzoni. Decine gli artisti citati e le loro performance. Ma quando il conduttore ha buttato lì, ai presenti: “Ditemi di getto le vostre preferite.” Nessuno, di getto, lo ha saputo fare. Io sì, anche se non facevo parte del gioco. Sono: "Il cielo in una stanza", "Sapore di sale", "Da una lacrima sul viso" e "Azzurro".
Alla fine dopo ultima selezione, spiccava "Il cielo in una stanza". Sembrerebbe proprio che quella canzone rappresenti gli anni Sessanta italiani. Non c’è dubbio che quelle note e quelle parole contengano qualcosa di unico e incantato, sì, una poesia che non presenterà le metafore nobili da premio Nobel di Montale, ma fraseggi dolci e orecchiabili che la gente canta per strada, e non è poco. 

Gli anni Sessanta erano il decennio giusto per il Gino genovese. Erano anni belli: la guerra quasi dimenticata, la nazione in ascesa, la politica… sopportabile, e che icone.
Rivera, Mazzola e Riva correvano sui campi di calcio, e facevano vincere scudetti e coppe alle loro squadre. Gimondi vinceva il Tour, Fellini firmava La dolce vita e Otto e mezzo. Lampedusa aveva appena firmato "Il Gattopardo". Quel magnifico gruppetto di attori, Gassman, Mastroianni, Sordi e Tognazzi erano nei loro anni d’oro.
E per chi era adolescente dunque nell’età vulnerabile quando ciò che ascolti viene assunto e rimane. Anche in questo c’entra Paoli, che è stato la colonna sonora e canora di quell’epoca e di tutte quelle successive. Qualche promemoria, fra i tanti: "Una lunga storia d’amore", "Senza fine", "La gatta", "Che cosa c’è?", "Ti lascio una canzone", "Quattro amici." 
Gino è (non molto) spesso ospite in televisione. Ma ci si muove con discrezione, e con  la classe che è sua e delle sue canzoni. 

In tutto questo raccontato si appalesò, direi quasi inatteso il Sessantotto. L’intellighenzia, e non solo quella, decise che era il momento di rivedere le idee del mondo. Il vento partì dalle università, dagli studenti e dai docenti. Presto si aggiunsero gli operai, i sindacati, le femministe, i comunisti, i violenti. Quell’anno e quelli che seguirono, certo frenetici e ambigui, non c’è dubbio che qualcosa lasciarono, anche se non lo abbiamo ancora del tutto decifrato.
Ma Gino sapeva come muoversi in quei movimenti. Oppure, semplicemente, li ignorava.
     
Vale la pena di raccontarlo. Nel 2020, finito il Covid, Ragnar Kjartansson, grande artista islandese, realizzò The Sky in a Room per Fondazione Trussardi. "Il cielo in una stanza" di Paoli, appunto. L’artista aveva organizzato un concerto al Lazzaretto di Milano, dove il famoso organo storico faceva da sfondo alle performance di decine di artisti, musicisti e cantanti, che per tutto il giorno, per trenta giorni hanno suonato e cantato Il cielo in una stanza. Un riconoscimento, direi strepitoso per Paoli.

E tu, Gino, sai bene che ormai si vive molto di più dei novant’anni. Continua a fare quello che sai fare. Per te e per noi.  

 


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