Arte del movimento e del contatto, la danza è stata duramente colpita dalla pandemia. Ma la vita riprende anche nelle sale teatrali, malgrado la seconda ondata e malgrado i protocolli sanitari. Certo praticare la danza, al pari di altre discipline, è diventata un’avventura acrobatica quotidiana, tuttavia ballerini e coreografi provano a riprendere il filo di una scrittura coreografica basata sulla costruzione energetica del gruppo.

Dopo la ‘prima’ della Scala, è il Teatro San Carlo a riaccendere i riflettori sul balletto e sotto la direzione di Nicola Giuliani. Se la ripresa delle stagioni liriche dei più grandi teatri italiani, programmata in queste settimane di dicembre, ha una nota malinconica, generata dalla mancanza del pubblico in sala, lo streaming permette di pensare una ‘drammaturgia’ alternativa, di evocare la certezza speranzosa di tornare presto a teatro, di rispondere al bisogno urgente di ritrovare il senso e dei nuovi valori per una comunità provata dall’incertezza. La proposizione di spettacoli online, gratuiti o a pochi euro, recupera poi la nozione di bene comune, di dono, senza controparte. Perché non è sempre questione di soldi, soprattutto in questo momento, in cui dobbiamo essere capaci di riunirci di nuovo, di sentire che le istituzioni culturali sono attente alla precarietà della gente che ha perso, una grande parte almeno, il potere di acquisto.

La cultura ha un ruolo sociale da giocare che aveva forse dimenticato e che il teatro lirico di Napoli conferma, schierando i suoi artisti, tre ballerine e tre ballerini, che prenderanno di petto l’ultimo giorno dell’anno muovendosi nel repertorio celebre del teatro otto-novecentesco. “Lo Schiaccianoci”, “Paquita”, “La Bayadère”, “Raymonda”, “La morte del cigno”, “Don Quijote” offriranno la sera del 31 dicembre, a partire dalle 18.00 (lo spettacolo rimarrà disponibile in streaming fino al 2 gennaio), un sogno (virtuale) che ripara, perché gli artisti sanno sempre mettere le parole, le immagini e i gesti giusti sulle nostre piaghe. Come un esorcismo, il più bello, la partitura di passi di Petipa o di Fokine, e quella di note di Cajkovskij o di Minkus riaffermano la vita e un’arte che da sempre ci fa sognare da svegli.

A quasi un anno dalla crisi dello spettacolo dal vivo, il Balletto del Teatro San Carlo immagina un altro modello per rilanciare la macchina teatrale. ‘Alleggerita’ la produzione, lo spettacolo pesa inesorabilmente sulle spalle degli interpreti lanciati in performance virtuose di cui potremmo vedere in dettaglio il minimo tremore, la più piccola scossa. È una sfida emozionante per gli esecutori e per il pubblico che potrà penetrare le pieghe del loro mestiere fino ad accarezzare il cigno musicalmente immortale di Saint-Saëns o sentire addirittura il fruscio dei costumi gitani di “Paquita”, un balletto del 1846 che soddisfaceva coi suoi colori pittoreschi il bisogno di esotismo dell’epoca.

L’equazione del gala riposa su una collezione di perle separate dal loro contesto, dai loro picchi narrativi e tecnici, che esigono per questo da parte dei ballerini una grande energia interpretativa. L’effetto catalogo e senza drammaturgia è comunque seducente e imbarca lo spettatore in una lettura rapida dei celebri balletti, provocando un’immediata adesione. Ogni estratto trabocca di promesse e di calore, lo stesso che ha segnato questo delicato ritorno al lavoro in piena crisi sanitaria. Inchino e applauso.