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1917 e quei lunghi piani sequenza che hanno affascinato il pubblico

Il direttore della fotografia Roger Deakins è l'artefice dell'incredibile sforzo produttivo dietro al film. Ora disponibile su Amazon Prime Video.  
di Andrea Fornasiero

George MacKay (32 anni) 13 marzo 1992, Londra (Gran Bretagna) - Pesci. Interpreta Caporale Schofield nel film di Sam Mendes 1917.
giovedì 23 luglio 2020 - prime video

Vincitore di due premi Oscar quasi consecutivi (Blade Runner 2049 nel 2018 e 1917 nel 2020)  dopo ben 13 nomination andate a vuoto, il direttore della fotografia Roger Deakins è l'uomo che reso davvero possibile il virtuosismo tecnico di 1917. Il film di Sam Mendes è stato girato quasi interamente in piani sequenza lunghi non più di sette minuti (ma Deakins dice che qua e là ci sono anche inquadrature piuttosto brevi), poi legati insieme per dare la sensazione di una ripresa ininterrotta. L'effetto finale è un racconto che segue in tempo reale il protagonista (tolte naturalmente le ore in cui giace incosciente).


Deakins e Mendes avevano già collaborato più volte, la prima proprio su un film di guerra, il sottovalutato Jarhead che aveva però uno stile molto diverso e assai più nervoso, con riprese in larga parte in camera a mano. Per 1917 si sono invece preferiti i movimenti morbidi dei dolly e della steadycam, un fluire armonioso di immagini che non attirasse troppo l'attenzione su di sé a parte per i movimenti di macchina più virtuosi.

Per ottenere questo risultato sono state necessarie numerose prove ancora prima dell'inizio dei 65 giorni di riprese, perché la camera stessa in un film come questo diventa parte integrante della coreografia, danza insieme agli attori all'interno dello spazio scenico. Deakins racconta che anche sul set, quando non potevano girare perché le condizioni climatiche non lo permettevano, ne approfittavano per fare ulteriori prove. Il risultato è senza sbavature e non solo dal punto di vista dei movimenti di macchina.

Una delle principali sfide affrontate dagli autori è stata quella luministica, sia perché molte riprese erano in location all'aria aperta e dovevano quindi attendere il momento giusto perché la luce fosse abbastanza stabile, sia per la complessità di illuminare le scene notturne senza interrompere la ripresa. Il momento forse più sbalorditivo del film è infatti la corsa notturna tra le rovine di un paese illuminate dai traccianti e dalle esplosioni in cielo. Deakins spiega che i tecnici erano appesi a cavi sopra la scena e tutto doveva avere un tempismo perfetto, perché serviva che le luci avessero una durata e una luminosità ben precisa. Tra le ispirazioni per questa scena, Deakins ha citato Il terzo uomo di Carol Reed: «Volevamo che la corsa avesse una qualità quasi onirica, da incubo, visto che il protagonista si era appena risvegliato, quasi come stesse ancora sognando. Quindi non potevamo che pensare ai film noir come e alle loro ombre. E le luci in cielo ovviamente muovevano le ombre, quindi abbiamo modellato le rovine sul set, che richiamano un po' come quelle del terzo uomo, in modo molto specifico perché le ombre cambiassero nel corso della scena».

Il direttore della fotografia lo descrive come uno sforzo produttivo colossale, ma chiarisce anche la ripresa di per sé non era in realtà più difficile di altre e in particolare di una scena molto più contenuta, tra il protagonista e una ragazza francese entrambi rifugiatisi in una cantina. La luminosità di quel momento è particolarmente scarsa, inoltre la macchina da presa, durante un dialogo come questo, si deve muovere in modo da cogliere sia chi parla sia le reazioni suscitate in chi ascolta, il tutto cercando di non risultare troppo appariscente.

A parte per la sequenza ispirata al Terzo uomo, il principale modello visivo è stata la documentazione sulla Prima Guerra Mondiale, di cui Deakins è da sempre un appassionato, tanto che racconta di una vacanza anni prima in cui, insieme alla moglie e ad alcuni amici, ha camminato lungo l'intera linea del fronte francese. Non ha inoltre guardato solo al materiale filmato e fotografico ma anche ai dipinti, perché tutto aggiungeva qualche elemento - fosse un dettaglio e la sensazione di un'atmosfera - capace di arricchire il film.

Infine Deakins racconta come la scelta delle location abbia cambiato fortuitamente il finale stesso di 1917: «Originariamente l'ultima scena era stata scritta perché fosse lungo un torrente, dietro il campo di battaglia in un paesaggio bucolico. Poi, quando siamo andati a cercare la location della scena iniziale nella pianura di Salisbury, abbiamo trovato l'albero per l'incipit, sotto cui siedono i soldati, e abbiamo visto che non molto lontano c'era quest'altro albero che si ergeva da solo e ci ha immediatamente colpito. Era un'immagine così forte che sia io, sia Sam, abbiamo subito pensato fosse la chiusura perfetta: un albero, come in principio, ma ora solitario».


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