Fulvio Iannucci firma un documentario home made e sentimentale che vuole onorare la tradizione industriale discografica partenopea. Da martedì 20 novembre al cinema.
di Raffaella Giancristofaro
Uno spettro consistente di artisti, critici, collezionisti, tecnici e appassionati di musica risponde a sollecitazioni sul tema della rinascita – o meglio persistenza – del vinile nel consumo musicale. Dallo studio di registrazione alle collezioni private, da un laboratorio di stampa alla fiera del disco usato (il film nasce da un’idea di Nicola Iupparello, creatore appunto di “Discodays”, raduno napoletano di patiti di “cere”, che rientra nelle location), ogni luogo testimonia della superiorità, soprattutto emozionale, dell’analogico sul digitale.
Si rievocano ricordi adolescenziali legati a particolari artisti o album, si confessa un’ossessione per qualcosa che non è solo un oggetto novecentesco, un feticcio e una conquista d’amore (“il bello del collezionare è la ricerca”, dice Pino Imparato, uno dei più accaniti inseguitori di LP), ma anche un rito che costringe a tornare a livelli di attenzione, di ricerca di qualità e disposizione all’ascolto che appartenevano all’era precedente al web e ai social.