Un incontro inaspettato fa scattare un meccanismo narrativo in cui entrano in conflitto umanità, sopravvivenza, giustizia e solidarietà. Da giovedì 15 novembre al cinema.
di Martina Ponziani
Una dottoressa decide di prendersi una pausa dal lavoro e di salpare in solitaria sulla sua barca a vela da Gibilterra ad un'isola incontaminata nell'Oceano Pacifico. Il suo viaggio sembra scorrere serenamente finché, dopo una brutta tempesta, si imbatte in un peschereccio arenato pieno di profughi africani in grave difficoltà. Alcuni di loro provano a raggiungerla, ma solo un giovane ragazzo ce la fa. Insieme cercano di chiamare i soccorsi che tardano ad arrivare, mentre la situazione si fa sempre più drammatica. La donna si troverà quindi ad un bivio: provare ad aiutare gli uomini e le donne bloccati sull'imbarcazione oppure farsi da parte ed aspettare aiuti adeguati.
Fino a metà del film di Wolfgang Fischer non si capisce bene cosa voglia simboleggiare questo viaggio solitario in mare. Le immagini sono affascinanti e l'assenza di dialoghi aumenta le suggestioni di questa sfida alla natura incontaminata; ma un'avventura così estrema sembra essere destinata a celare qualcosa di più profondo. Ed infatti così è.