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Il Cinema Ritrovato ricorda il talento di Robert Mitchum

Da segnalare anche l'omaggio a John Travolta con il restauro di La febbre del sabato sera.
di Roy Menarini

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Robert Mitchum (Robert Charles Durman Mitchum) 6 agosto 1917, Bridgeport (Connecticut - USA) - 1 Luglio 1997, Santa Barbara (California - USA). Interpreta Il reverendo Harry Powell nel film di Charles Laughton La morte corre sul fiume.
giovedì 29 giugno 2017 - Festival

La storia del cinema non è solo una questione di grandi autori e di movimenti artistici, secondo una prospettiva presa a prestito dalla storia dell'arte. È anche questione di icone. Ormai tutti hanno compreso il ruolo delle star nella creazione di un significato, di un senso collettivo, di un fascino universale per i film e il loro contesto.

Il Cinema Ritrovato, edizione 2017, dedica largo spazio a Robert Mitchum, lui sì un esempio davvero sorprendente di volto hollywoodiano carismatico e poco classificabile, tanto a smentire una volta di più l'idea che la Mecca del Cinema fosse fatta di soli calcoli produttivi.
Roy Menarini

Tipo unico nel panorama hollywoodiana, aveva un volto levigato e la fama opposta - da duro - con una personalità certamente non prona ai voleri dei produttori, incline alle buone bevute (in fin di vita, vantava ancora pubblicamente una buona frequentazione con la tequila e i sigari). Non è un mistero la sua infanzia balorda. Già a quattordici anni fuggì dalla scuola per cominciare a fare mille mestieri (minatore, spazzino, barista, pugile, camionista). Più volte incarcerato, riuscì persino a evadere (leggenda vuole che fosse scappato proprio a Hollywood, dove cominciò dal basso, buttafuori nei night californiani).


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Come spiega uno dei biografi di Robert Mitchum, Altiero Sicchitano, "la gioventù burrascosa contribuì a forgiare il mito di una persona rozza e brutale, che Mitchum sfruttò con ironia, nascondendo volentieri una solidissima cultura autodidatta e un'insolita raffinatezza intellettuale". Più di cento film, con un numero di registi sterminato, tra cui - giusto per fare un elenco - quelli più importanti, e guarda caso anche quelli più fumantini e autonomi: Raoul Walsh, Josef von Sternberg, Nicholas Ray, John Huston, Vincente Minnelli, Howard Hawks, David Lean, Elia Kazan.

Sapeva entrare come poche nelle atmosfere noir e trasognate di film dove c'era bisogno di qualcuno che sapesse suggerire molti sentimenti, anche fragili, senza mai cambiare espressione. È quello che succede nello struggente Le catene della colpa, diretto nel 1947 da Jacques Tourneur. L'attore interpreta un benzinaio in provincia, in fuga da un passato che ritorna nelle fattezze d'un gangster di cui una volta era stato al servizio. La dark lady è Jane Greer, che seduce Mitchum senza lasciargli scampo. I generi cinematografici attraversati sono tanti (la guerra con I forzati della gloria o il western di Bandido! Per citarne due di prammatica), ma il bello arriva con la vecchiaia: che dire del grandioso Yakuza di Pollack?
Roy Menarini

Non era un divo che si prendeva troppo sul serio. Scrisse: "Non ho fatto altro che girare lo stesso film un centinaio di volte. Non leggevo neppure i copioni: sapevo che, anche se erano scritti da Baudelaire o Balzac, quando arrivavo a pagina 20, inevitabilmente c'era un gruppo di gorilla che mi saltava addosso e iniziava a picchiarmi".

Slittando verso il cinema moderno, invece, importante l'omaggio a John Travolta con il restauro di La febbre del sabato sera, girato nel 1977 da John Badham senza probabilmente immaginare fino a quando sarebbe durato il mito. Film molto più duro e urbano di quanto ce lo ricordiamo, ha reso immortale l'icona di Travolta, maschio italo-americano dalle movenze femminili (sulla pista da ballo), con il trionfo della disco music e della moda un po' "tamarra". Dave Kehr, storico americano del cinema, lo ha giustamente definito una "versione aggiornata al 1977 di Gioventù bruciata". Incalcolabile il numero di imitazioni e indicibile l'influenza su fashion, pop, televisione e sull'immaginario globale, tutt'altro che esaurita (anzi, rilanciata dalla cultura vintage). Insomma, è la storia del cinema l'icona più resistente.


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