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Un ponte verso il cinema dell'Europa centro-orientale

Apre Sole alto il 22 gennaio e chiude Chant d'Hiver di Iosseliani. Ospite d'onore di questa edizione Irène Jacob.

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La sigla del Trieste Film Festival 2016, firmata da Fabio Bressan, designer e videomaker triestino.

mercoledì 13 gennaio 2016 - Festival

Torna dal 22 al 30 gennaio il Trieste Film Festival, primo e più importante appuntamento italiano con il cinema dell'Europa centro-orientale, giunto quest'anno alla 27. edizione, diretta da Annamaria Percavassi e Fabrizio Grosoli: nato alla vigilia della caduta del Muro di Berlino (l'edizione "zero" è datata 1987), il festival continua ad essere da quasi trent'anni un osservatorio privilegiato su cinematografie e autori spesso poco noti - se non addirittura sconosciuti - al pubblico italiano, e più in generale a quello "occidentale". Più che un festival, un ponte che mette in contatto le diverse latitudini dell'Europa del cinema, scoprendo in anticipo nomi e tendenze destinate ad imporsi nel panorama internazionale.

Ospite d'onore di questa edizione, Irène Jacob: l'attrice, tra le interpreti più sensibili del cinema francese, accompagnerà - nell'ambito del focus "La doppia vita del cinema polacco" - l'omaggio del festival a Krzysztof Kielowski, nel ventesimo anniversario della scomparsa del grande regista. Per l'occasione saranno mostrati i dieci capitoli del Decalogo e i due film che Irène Jacob girò con Kielowski: La doppia vita di Veronica, che valse all'attrice il premio per la migliore interpretazione al Festival di Cannes, e Tre colori - Film Rosso, candidato nel 1995 a tre premi Oscar (per migliore regia, sceneggiatura e fotografia).
L'omaggio sarà inoltre l'occasione per ricordare una volta di più, attraverso una delle sue passioni cinematografiche, Annamaria Percavassi, fondatrice, anima e direttrice artistica del festival, scomparsa recentemente.
Ad aprire il festival sarà l'anteprima fuori concorso, venerdì 22 gennaio, del film Sole alto di Dalibor Matani, una delle rivelazioni dell'ultimo Festival di Cannes (Prix du Jury nella sezione "Un Certain Regard"), candidato al Lux Prize e scelto dalla Croazia per la corsa all'Oscar per il miglior film straniero: in uscita nelle sale italiane a marzo, distribuito da Tucker Film, Sole alto è uno straordinario inno alla vita che racconta l'amore fra un giovane croato e una giovane serba. Un amore che Matani moltiplica per tre volte: stessi attori (Tihana Lazovi e Goran Markovi) ma coppie diverse, dentro il cuore avvelenato di due villaggi balcanici in tre decenni diversi: il 1991 e l'ombra incombente della guerra; il 2001 e le cicatrici che devastano l'anima; il 2011 e la possibile ma impervia rinascita. Impervia ma possibile, proprio come dimostra - in perfetta sintonia con il respiro del film - la formula produttiva che vede cooperare Croazia, Slovenia e Serbia, restituendo pienamente il percorso di ricostruzione culturale in atto nell'ex Jugoslavia.
La proiezione sarà seguita dal concerto "22nd day of the year - A/V concert", esibizione live dei Sinkauz Brothers, autori della colonna sonora del film.

La chiusura sarà invece affidata a un grande del cinema europeo, Otar Iosseliani, e all'anteprima italiana, fuori concorso, del suo Chant d'hiver: una commedia in cui il maestro georgiano - per sua stessa ammissione - ha voluto inserire "tutte quelle sciocchezze che m'incantano: l'ottimismo dei ricchi che sprecano la loro vita in così tanti inganni, pur di mantenere un patetico patrimonio... e il sogno di diventare ricchi dei poveri, che se avranno la sfortuna di riuscirci saranno condannati alla stessa infelicità di coloro che adesso invidiano". Il risultato, caotico e affascinante come nello stile del regista di Caccia alle farfalle e Addio terraferma, è un film sull'amore, la vera amicizia e la speranza in un domani migliore. Arricchito da un cast cosmopolita ed eclettico in cui spiccano - accanto a Rufus e Mathieu Amalric - anche il regista Tony Gatlif e il nostro Enrico Ghezzi.

Nucleo centrale del programma si confermano i tre concorsi internazionali dedicati a lungometraggi, cortometraggi e documentari: a decretare i vincitori, ancora una volta, sarà il pubblico del festival.
Otto i titoli, tutti in anteprima italiana, che compongono il Concorso internazionale lungometraggi, dove convivono opere di grandi autori e giovani promesse.
Tra le prime, il nuovo film - come sempre potente ed estremo - della capofila del cinema lettone Laila Pakalnina, che in Ausma si rifà al passato sovietico, echeggiando nella storia del piccolo Janis quella del "giovane pioniere" Pavlik Trofimovi Morozov, protagonista della propaganda stalinista negli anni '30; mentre Oleg Novkovi firma con Patria la seconda parte di una trilogia dedicata alla cosiddetta "generazione perduta" della ex-Jugoslavia, indagando - attraverso un aspro ritratto familiare - la Serbia di oggi, le estreme conseguenze della guerra civile e le possibilità di vita e pentimento dopo le atrocità e i delitti commessi. Esordiente nel "lungometraggio di finzione", ma ben noto al pubblico internazionale per il suo premiato passato di direttore della fotografia e documentarista, il polacco Marcin Koszaka presenta Czerwony Pajak, inquietante storia vera - insieme nerissima e visivamente raffinata - di un serial killer nella Cracovia degli anni '60. Tutti debuttanti gli altri autori in concorso: Visar Morina, che in Babai rievoca il Kosovo degli anni 90 attraverso la storia di un padre che vuole fuggire dal passato, anche emigrando illegalmente in Germania, e di un figlio che cerca in tutti i modi di restargli accanto; Dimitar Dimitrov, capace di fondere abilmente generi e storie, trasportatori di salme e femme fatali, horror e romanticismo, amori (impossibili) e morti (molto più probabili), in una commedia nera, Subirach Na Trupove che dimostra una volta di più la vitalità del giovane cinema bulgaro; la lituana Alanté Kavaïté, premiata come migliore regista allo scorso Sundance Film Festival per Sangailé, sognante storia d'amore tutta al femminile tra una diciassettenne affascinata dagli aerei acrobatici (ma terrorizzata dall'altezza) e una coetanea che non ha paura di nulla (uscirà in Italia distribuito da Movies Inspired); il rumeno Nicolae Constantin Tnase, che in Lumea e A Mea aggira ogni facile sociologismo raccontando il mondo interiore di una sedicenne di provincia, Larisa, pronta a tutto pur di realizzare i propri sogni in una piccola città sul mare in cui sembrano contare soltanto l'apparenza e il denaro; e l'ungherese Lili Horváth, che in A Szerdai Gyerek segue le disavventure di una coppia nella periferia di Budapest in un dramma sociale sui giovani emarginati costruito intorno a un intenso personaggio femminile.

Altri due, oltre ai citati Sole alto e Chant d'hiver, i lungometraggi fuori concorso selezionati come Eventi Speciali di questa edizione: a cominciare dall'anteprima mondiale de La supplication di Pol Cruchten, con cui il festival vuol ricordare il trentesimo anniversario del disastro di ernobyl', il più grave incidente mai verificatosi in una centrale nucleare (26 aprile 1986). Ispirato al romanzo "Preghiera per ernobyl'. Cronaca del futuro" della scrittrice premio Nobel Svetlana Aleksievi, un classico contemporaneo tradotto in tutte le lingue del mondo occidentale, il film rielabora in una forma cinematografica non convenzionale le testimonianze raccolte nel libro. E poi l'anteprima italiana di Cosmos l'ultimo film di Andrzej Zuawski, premiato per la migliore regia allo scorso Festival di Locarno: un'opera inclassificabile che sfugge alle categorie e ai generi, tratta da un romanzo di Witold Gombrowicz che nessuno - se non il visionario autore di film come Possession e Le mie notti sono più belle dei vostri giorni - avrebbe osato portare sullo schermo, e che nelle mani di Zuawski diventa - come racconta lo stesso regista - "un thriller, una storia d'amore, un'esplorazione dell'animo umano durante la giovinezza. Un po' spaventoso, molto divertente quando vuole".

Il Concorso internazionale Documentari propone dieci titoli, tutti in anteprima italiana.
Le tracce, visibili e invisibili, che le guerre lasciano anche a distanza di anni nel paesaggio e nella memoria sono le protagoniste di Battles di Isabelle Tollenaere, che attraverso quattro archetipi - una bomba, un bunker, un carro armato, un soldato - ci riporta, senza rinunciare all'ironia, sui luoghi di alcune delle guerre più recenti combattute in Europa; ancora l'Europa, quella più periferica dove l'unico segno di appartenenza all'UE è una vecchia bandiera, è al centro di Reki Bez Mostove, il film con cui Kristina Grozeva e Petar Valchanov - già autori di The Lesson, grande successo internazionale del cinema bulgaro della scorsa stagione - raccontano attraverso la storia di due amici inseparabili, Tsvetan e Nasco, la desolazione del piccolo villaggio di Dinkovo; inseparabili sono anche Mieczysaw e Alfons, i due novantenni fratelli di Bracia di Wojciech Staro: deportati in Siberia insieme alla famiglia, evasi dai campi di lavoro, tornati solo negli anni '90 nella natia Polonia, dove oggi vivono facendo affidamento soltanto l'uno sull'altro. Tra i più applauditi documentari dell'ultima stagione, Chuck Norris vs. Communism di Ilinca Calugareanu (distribuito in Italia da Wanted) racconta l'incredibile storia vera della donna che nella Romania di Ceaucescu sfidò la censura violando l'embargo e doppiando decine di film americani, arrivati di contrabbando in vhs, mostrando per la prima volta ai suoi connazionali un assaggio del mondo occidentale attraverso gli action-movie degli anni '80 e i loro protagonisti, da Jean-Claude Van Damme a Sylvester Stallone; cinema e Romania anche in Cinema, Mon Amour di Alexandru Belc, storia dell'ex proiezionista e direttore del Dacia Panoramic Cinema a Piatra Neamt, tra le ultime vecchie sale rimaste oggi nel Paese, che dimostra come occorra essere creativi (e un po' folli) in tempo di crisi; un'altra crisi, quella greca, è al centro di Epòmenos Stathmòs: Outopìa di Apostolos Karakassis, sulla straordinaria avventura di un gruppo di lavoratori che dopo la chiusura di una fabbrica decide di occuparla e autogestirla seguendo principi di uguaglianza assoluta e democrazia diretta. L'incapacità di affrontare la storia recente è al centro di Grozny Blues di Nicola Bellucci, ritratto della capitale cecena devastata dalla guerra, dove la vita quotidiana è scandita da repressione politica, usanze restrittive, islamizzazione forzata; dalla Croazia arriva un allucinante viaggio nell'intolleranza, Bolesno di Hrvoje Mabi, storia di una sedicenne, Ana, rinchiusa dai genitori in un ospedale psichiatrico per curarne l'omosessualità; è un viaggio senza precedenti nella quotidianità dell'inaccessibile Corea del Nord, e nella messa in scena della propaganda di regime, quello offerto da V Lucach Solnca del russo Vitalij Manskij, cui è stato concesso di girare per un anno a Pyongyang, per ritrarre la vita quotidiana di una famiglia media nel momento in cui la giovane figlia si prepara a entrare nelle file dei Giovani Pionieri; con Aš už tave pakalbsiu di Maximilien Dejoie e Virginija Vareikyt entriamo invece - anche attraverso le parole, e i silenzi, di vittime e carnefici - nel bel palazzo neoclassico di Vilnius che fu sede del servizio segreto sovietico in Lituania, rappresentando per oltre cinquant'anni l'emblema dell'occupazione e della repressione.

In questa edizione ci saranno anche 16 cortometraggi in concorso, le Sorprese di genere (alla scoperta del cinema più "popolare"), due focus nazionali dedicati a Polonia e Romania. Per il secondo anno verrà ospitato il Lux Prize ed è stata confermata anche la formula del Premio Corso Salani.

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