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Jafar Panahi, un cinema non incatenabile

Il cineasta iraniano in concorso alla 63a Berlinale con Closed Curtain.
di Mauro Gervasini

In foto Jafar Panahi, in concorso alla 63a Berlinale con Closed Curtain.
Jafar Panahi (63 anni) 11 luglio 1960, Mianeh (Iran) - Cancro.

martedì 12 febbraio 2013 - Approfondimenti

Jafar Panahi, classe 1960, è un cineasta iraniano famoso per la... galera. Bruttissimo da dire e da scrivere, ma a ben pensarci una delle peggiori conseguenze alle quali va incontro chi viene perseguitato per motivi di opinione, o per i contenuti della propria opera artistica, è che proprio questi contenuti passino in secondo piano. Che cioè la persecuzione vinca divorando il lavoro, la creatività, persino la carriera del perseguitato. Così oggi non c'è festival in Europa che non dedichi un pensiero, la lettura di una lettera, una simbolica presenza/assenza in giuria al regista recluso a Teheran ma intanto ci si dimentica dei film, quelli del passato, seppur premiati ovunque, e quelli del futuro, intesi come progetti messi a repentaglio da una condanna infame per essersi opposto al regime di Ahmadinejd. Sei anni ai domiciliari, e ovviamente ritiro del passaporto.

Nonostante la prigionia, Jafar Panahi è riuscito a portare a compimento il suo ultimo film, Closed Curtain ("sipario chiuso") in concorso al Festival di Berlino. Una storia scritta da tempo e sviluppata grazie all'aiuto del filmaker Kambuzia Partovi, già sceneggiatore di Il cerchio. Al centro del racconto la figura emblematica di uno sceneggiatore isolatosi in una casa al mare per poter scrivere in tranquillità, ma in realtà in compagnia di una donna misteriosa che dalla dimora non se ne vuole andare. In equilibrio tra toni onirici e realistici, Closed Curtain riflette sulla solitudine dell'artista, forse coatta anche quando apparentemente libera, ed è impossibile non percepire tutto il peso della drammatica situazione personale dell'autore.

A essere non incatenabile, di Panahi, è proprio il cinema, libero per definizione in un contesto dove le possibilità espressive sono tenute sotto un rigido controllo sociale e religioso. Con titoli come Il palloncino bianco (1995, Camera d'or a Cannes, sceneggiatura di Abbas Kiarostami), Lo specchio (1997, Pardo d'oro a Locarno), Il cerchio (2000, Leone d'oro a Venezia) e Offside (2006, Orso d'argento a Berlino) il regista racconta soprattutto storie di donne e già questa, in Iran, è una scelta rivoluzionaria e pericolosa. Senz'altro influenzato dal neorealismo italiano, ma anche dal cinema di Kiarostami, per lui una specie di maestro, Panahi porta tutti gli spettatori a identificarsi con lo sguardo di protagoniste di ogni età. Dalla bambina di Il palloncino bianco persa nella recherche di un pesciolino che vale la scoperta del mondo alle donne di Offside che tifose della nazionale di calcio, ma impossibilitate a entrare in uno stadio appunto perché femmine, si travestono da uomini per assistere alla partita con il Barhain valida per la qualificazione al campionato mondiale. In mezzo Lo specchio, dove ritroviamo la protagonista di Il palloncino bianco in una nuova peregrinazione urbana, questa volta metacinematografica (la ragazzina si stufa e abbandona il set; Panahi la segue affrontando anche inconvenienti tecnici) e soprattutto Il cerchio, capolavoro del regista. Otto storie di donne denominatore comune delle quali è il luogo dove si concludono: il carcere. L'Iran della guida spirituale suprema Khamenei si dimostra rigidamente medievale nei confronti delle proprie cittadine, e il regista ha il coraggio di farlo trasparire dai volti delle sue protagoniste di volta in volta condannate all'emarginazione, alla persecuzione, addirittura alla morte. Donne ripudiate perché non hanno partorito un maschio, donne che non possono viaggiare senza un accompagnatore, donne evase, donne che abbandonano le figlie perché indigenti e lasciate sole, donne costrette a prostituirsi. Amante delle ellissi, Panahi sa raccontare vicende ad altissima intensità con un rigore antiretorico che lo rende unico e prezioso. Al di là delle sbarre.

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