Tre donne: una giovane fotografa di straordinario talento che diventa famosa in tutto il mondo dopo essersi tolta la vita. Una giornalista che, per prima, incontra e racconta Jim Morrison, Mick Jagger, Keith Richards, Andy Warhol, Bob Dylan, John Lennon, Lou Reed, tra tanti. Un'altra ancora che, raccontata insieme ad altri tre attivisti, lotta contro l'impero del neocapitalismo cinese, per denunciarne il disprezzo per l'ambiente, la sopraffazione burocratica, la prepotenza ancestrale. Forse sono proprio tre figure di donne molto particolari a fare da filo rosso tra questi tre film che sono stati presentati in anteprima europea al Festival di Roma del 2010 nella sezione L'Altro Cinema | Extra e che ora MYmovies propone in anteprima assoluta web ai propri utenti, all'interno della sezione MYmovies Roma LIVE!. O forse è un'altra ancora la caratteristica che rende queste storie delle storie del tutto speciali: sono tutte storie vere. Ciò non impedisce per nulla al cinema che le racconta di fare il proprio lavoro di stile, linguaggio, scoperta.

In The Woodmans, ad esempio, attraverso le foto di Francesca (la protagonista) scopriamo il suo mondo fatto di esperimenti ottici, di forme diafane che sotto il suo sguardo diventano, in un istante, pura poesia e sconvolgente allegoria visiva (qualcosa che ricorda, ad esempio, l'inquietudine delle inquadrature di Lynch). Il regista Scott Willis immerge lo spettatore nell'intimità dell'arte, nel segreto della sua grazia e del suo dolore, plasmando un racconto limpido, reticente e tormentato come lo sguardo della sua protagonista. In Rainmakers, dell'olandese Floris-Jan van Luyn, l'inquadratura si dilata su un territorio sconfinato e inesplorato, come il cinema ha fatto sin dall'inizio: l'ambiente della Cina e la sua condizione ecologica. A guidare lo spettatore, lo spirito e il coraggio di quattro attivisti cinesi che ingaggiano una lotta quotidiana (perlopiù votata alla sconfitta, come sembra esserne consapevole anche il loro eroismo). È un documentario, ma gli strumenti di cui si serve sono gli stessi del miglior cinema di finzione: montaggio inedito, scrittura inventiva, sguardo d'autore. In Mother of Rock: Lillian Roxon, l'australiano Paul Clark, con una falcata allegra e repertorio da strabuzzare gli occhi, racconta la donna che ha strappato il rock all'etichetta di moda passeggera e soprattutto si fa una domanda (che neppure sapevamo esistesse) e si dà una risposta (ancor più rivelatrice): chi è stato il primo ad aver capito il rock? Una donna: la cui vita e intelligenza, indipendenti e fuori di ogni schema, sono già un mito.

Insomma, questi tre film, oltre ad essere dei gran bei film – documentari (due sostantivi che diventano uno aggettivo dell'altro), sono anche un'eccellente opportunità per capire cosa sta facendo il cinema, cosa sta diventando ora, qui, su questo pianeta: mentre nel mainstream domina la tirannide della CGI (Computer Generated Images), il Grande Racconto del Grande Schermo scopre quanto sia importante (e sexy) l'unica cosa che il computer non può generare, il mondo così come è e come è stato. Benvenuti nel nuovo cinema del futuro: quello che racconta la verità delle cose con la forza e la passione del romanzo delle immagini e dei suoni.

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