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La politica degli autori: John Singleton

Un cineasta afroamericano che frusta l'immaginario a colpi di macchina da presa.
di Mauro Gervasini

In foto John Singleton, regista di Abduction - Riprenditi la tua vita.
John Singleton 6 gennaio 1968, Los Angeles (California - USA) - 28 Aprile 2019, Los Angeles (California - USA). Regista del film Abduction - Riprenditi la tua vita.

mercoledì 5 ottobre 2011 - Approfondimenti

Fa un certo effetto leggere durante il trailer di Abduction – Riprenditi la tua vita la scritta "dal regista di 2 Fast 2 Furious". Perché John Singleton, che firma l'adrenalinico action movie per teenager con Taylor Lautner nelle sale dal 7 ottobre, in un'altra vita non era "solo" il regista di 2 Fast 2 Furious, dimenticabile sequel del Fast and Furious con Vin Diesel e Paul Walker. Era, invece, un massiccio cineasta afroamericano di quelli che frustavano l'immaginario a colpi di macchina da presa. Esordio nell'anno di grazia 1991 con Boyz n the Hood – Strade violente. Drammatico romanzo di formazione di un ragazzo del ghetto nero, Cuba Gooding Jr., che vede davanti a sé due sole possibilità di vita: diventare un black gangsta o sperare come qualche suo amico in una borsa di studio per meriti sportivi. No Justice No Peace: Singleton realizza il film a soli 23 anni mentre Los Angeles, la città sua e dei ragazzi della storia, viene messa a ferro e fuoco dalle rivolte causate dal massacro di Rodney King, automobilista di colore fermato e pestato dagli agenti per niente. Una calma apparente oltre i confini del ghetto, mantenuta con il coprifuoco dalla guardia nazionale: i boyz n the hood, ovvero i "ragazzi dei paraggi", sono gli stessi con i quali John Singleton è cresciuto: coetanei o adolescenti senza nessun futuro che non sia di piombo & sangue. Il film è manicheo, brutale, schematico, ma sanguigno e sincero. Il pubblico, afroamericano ma non solo, percepisce la rabbia autentica e accorre in massa. La critica abbozza in nome del politicamente corretto ma ci sono dei distinguo. E a sorpresa, la mannaia cala da New York. A impugnarla, il black filmaker più famoso del mondo: Spike Lee. Secondo lui, quella dei "fratelli neri" uniti fino all'ultimo contro l'establishment bianco è comunque una retorica pericolosa, perché «la schiavitù è finita da decenni, e la recriminazione non serve più». Tra i due scorre cattivo sangue. Troppo diversi: più rigoroso l'autore di Jungle Fever, che vorrebbe la poetica afroamericana affrancata da qualunque "ghetto classificatorio", più diretto e forse superficiale Singleton, che sogna una blaxploitation nuova e finalmente pensata dai neri (e non dai bianchi come quella storica degli anni '70). Nel frattempo alza il tiro con Poetic Justice (1993), con Janet Jackson e 2Pac Shakur in ruoli insoliti. Lei è una poetessa a cui hanno ammazzato il fidanzato, lui un postino che forse l'ama, o forse insegue solo un ideale piccolo borghese tipicamente... bianco. Vero è che rispetto a Spike Lee Singleton manca di complessità. Ma a soli 26 anni il regista losangelino firma una terza opera possente, L'università dell'odio (1994), dove dimostra di essere in totale sintonia con i pensieri, le preoccupazioni, le percezioni della realtà dei propri coetanei. La storia è quella di un violento conflitto razziale in ambito scolastico, a stento contenuto dal professore progressista Laurence Fishburne. Non importa che il film manchi di una elaborazione artistica sopraffina: importa che Singleton, come nessuno prima, si ponga il problema del punto di vista dei giovani neri tagliati fuori dai giri importanti, e lo faccia anche con il manicheismo spontaneo di chi può solo generalizzare. Del 1997 è Rosewood, in Italia uscito solo in home video. Storia del vero massacro della comunità afroamericana di un villaggio della Florida, avvenuto nel 1923 per "fare giustizia" dell'aggressione di una donna bianca, poi rivelatasi fasulla. Singleton firma il suo miglior film sfiorando l'epica classica di un Arthur Penn (pensiamo a La caccia, per intenderci). Nel 2000 il primo impegno totalmente "alimentare" è il remake di Shaft, con Samuel L. Jackson. Niente di che, purtroppo, e anche il botteghino non sorride. Non va meglio con il successivo Baby Boy – Una vita violenta (2001), dove Singleton torna ai temi più congeniali raccontando di un uomo che ancora vive con la madre e non riesce ad affrancarsi dall'assistenzialismo pratico e ideale cui si appoggia la comunità nera. La metafora è lampante. Pure troppo. Tonfo al botteghino e cambio di passo per il cineasta, da quel momento impegnato in progetti anonimi, come appunto il già citato 2 Fast 2 Furious (2003) o Four Brothers (2005). Con Abduction – Riprenditi la tua vita, Singleton dimostra di essere regista versatile e capace di confezionare un buon film d'azione sulla falsariga della saga di Bourne (con una inversione del presupposto: il protagonista Taylor "Jacob" Lautner, studente di buona famiglia, non è amnesico bensì convinto di essere quel che non è, finché non si ritrova a sorpresa nell'elenco delle persone scomparse... da qui l'innesco narrativo del thriller). I giorni della rabbia, però, sono lontani.

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