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Storia "poconormale" del cinema: il cinema e l'arte (1)

Il motivo della notte nelle opere di Luis Buñuel.
di Pino Farinotti

Il tema della notte
Luis Buñuel 22 febbraio 1900, Calanda (Spagna) - 29 Luglio 1983, Città del Messico (Messico).

venerdì 2 aprile 2010 - Focus

Il tema della notte
Il testo cinema/arte che segue è pubblicato nel volume La Memoria e la visione dei Saggi BUR Rizzoli. Nel quadro delle conferenze, di Palazzo Barberini in Roma, di Pino Farinotti e Massimiliano Finazzer Flory, assessore alla Cultura del Comune di Milano

Notte
El Greco (1541-1614)
Luis Buñuel 1900-1983)

Massimiliano Finazzer Flory
Affrontiamo, in questo nostro articolato viaggio, il tema della notte. Scrive Giorgio Manganelli, ne La notte, cogliendo alcuni affascinanti e misteriosi risvolti del buio: «Ove venisse accertato, o solo sospettato, che codesta notte penetri fino al centro dell'universo, lama sottile e coerente di tenebre nell'infinita gloria delle sue discontinue luci, l'immagine del mondo in cui crediamo di esistere verrebbe ad essere singolarmente mutata». Sì, perché potremmo chiederci quante notti vi sono nella notte: quante fuori di noi e dentro di noi, notti fonde e profonde, accidentali, bianche, illuminate.
Questa tematica è stata analizzata con approcci pluridisciplinari, dalla psicologia, alla psicoanalisi, dalla filosofia, all'arte, alle neuroscienze, nel tentativo di gettare luce sulle tenebre delle non poche notti che ci attraversano. Nell'intraprendere il nostro percorso interpretativo evoco soltanto un titolo: Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline, per citare un esempio della sterminata letteratura in cui prende forma il notturno. Il libro narra di un itinerario che impietosamente rivela il lato oscuro dell'uomo e conduce a un'esplorazione di sé lucida, sarcastica, «scandalosa», ma con una scrittura potente e innovativa che restituisce la forza della parola, agita e violata in medias res.
Insieme a Pino Farinotti ripercorreremo il sottile e intrigante rapporto che intercorre fra letteratura e cinema con particolare attenzione alla produzione cinematografica del grande cineasta Luis Buñuel e al motivo della notte, guardando al suo dispiegarsi sia in prospettiva estetica che simbolica. Un rapporto che può essere significativamente arricchito dal contributo della storia dell'arte attraverso le opere di un pittore – El Greco – che ci proiettano nelle atmosfere del Rinascimento spagnolo, intrise di inquietudine e drammaticità. Questa stessa tensione drammatica, che si ritrova ad esempio nell'Adorazione dei Pastori e nel Battesimo di Cristo eseguiti da El Greco per il Colegio de Doña Maria de Aragon a Madrid e di cui sono conservate due copie a Palazzo Barberini (opere di bottega o repliche autografe), mi ricorda alcune parole di Peter Brook in una sua riflessione sul senso del teatro.
Il celebre regista, ne Il punto in movimento, con esplicito riferimento alla scena shakespeariana, ne esprime il significato più autentico ricorrendo a una metafora: il teatro è come un «pezzo di carbone» che inizia e finisce al momento della combustione, ma ci offre la luce e il calore di cui abbiamo bisogno. Una reazione chimica che sprigiona energia e si consuma fra realtà e finzione, attraversando spesso la dimensione onirica, ricca anche di ossessioni, deliri, visioni e allucinazioni. Frequentazioni che sono assai praticate da Luis Buñuel nella sua originale e personale estetica sur-realista. Alla luce di queste premesse, come possiamo inquadrare, allora, il rapporto fra cinema e letteratura?

Pino Farinotti
Il primo assunto è che la letteratura prevale. Questo è un dato di fatto. Un esempio attuale, penso al film The Reader, la storia di una kapò analfabeta, che ha commesso delitti orrendi proprio perché è analfabeta, e non solo non sa né leggere né scrivere, ma non sa neppure giudicare. Ha un amante, un ragazzino di diciotto anni, a cui chiede di leggerle qualcosa. E lui le legge, come primo testo, l'Odissea: «Musa, quell'uom di multiforme ingegno / Dimmi che molto errò poi ch'ebbe a terra / Gettate di Iliòn le sacre torri». Poi legge dei passi dell'Amante di Lady Chatterley, poi un passaggio di una novella di Gogol', poi uno di Guerra e pace. Nel momento in cui arriva la letteratura, il cinema si ferma attonito.
Ma pensiamo anche a questo ulteriore dato di fatto: il cinema non entra nella nostra antropologia; il cinema ci dà delle sensazioni immediate fortissime. Nel 1926, a Parigi, proiettarono il celeberrimo film La corazzata Potëmkin. In quell'anno, a Parigi, si trovava il fiore di tutta la cultura del mondo: c'erano Hemingway, Joyce, Fitzgerald. Divennero rivoluzionari, vedendo quel film, tanto la sua carica era accorata, forte, violenta. Basti pensare alle scene in cui i marinai si ribellano perché la carne è avariata e vengono condannati a morte; il plotone di esecuzione punta il fucile e, quando è il momento di sparare, spara per terra: questo è il trionfo, è il cattivo che non ce la fa. Hemingway disse che quando uscì da quella sala era rivoluzionario. La suggestione dettata dal cinema, però, dura un'ora o due, o magari un giorno; le manca l'antropologia che viene dalla letteratura. Se si legge Germinale di Émile Zola, si leggono seicento pagine sulla vita e sui dolori dei minatori. Non bastano dieci film per trasmettere quel sentimento, per quella cultura, quel dolore. È la prevalenza della letteratura rispetto al cinema.

Finazzer Flory
Partiamo dalle immagini sconvolgenti del film Un chien andalou di Buñuel, che è manifesto della poetica surrealista. Come non ricordare la celebre sequenza in cui la visione viene «spezzata» con il taglio dell'occhio? Dichiarava Buñuel, a proposito di quest'opera: «Non accettare alcuna idea, alcuna immagine, in grado di condurre a una spiegazione razionale, psicologica o culturale. Aprire le porte dell'irrazionale. Accogliere soltanto le immagini che ci colpivano, senza cercare di capire perché». Ma che cosa significa davvero tutto ciò?

Farinotti
Siamo nel 1929 e Buñuel riesce ad avere da sua mamma i soldi per realizzare questo film. Anche lui si trova a Parigi, dove ha conosciuto Salvador Dalí. Si tratta di due artisti che non solo hanno cercato, ma che hanno anche trovato. Fecero dunque questo film insieme, con quell'immagine, famosa, della notte con la luna, la nube che passa e che interrompe la luce, e questo occhio squarciato, che è una metafora fortissima, che vale oggi come allora e significa: attenzione, state per vedere un film che non potete guardare con l'occhio normale, dovete guardarlo con un occhio speciale, particolare. Si tratta di una sequenza che fa veramente parte dell'estetica del nostro secolo, in senso assoluto, come Guernica di Picasso, l'Urlo di Munch, il miglior Andy Warhol, artisti che hanno rappresentato qualcosa con una precisione e una perfezione necessaria e sufficiente che non è più riscontrabile e difficilmente lo sarà ancora. I Surrealisti ufficiali, quando videro questa scena, dissero che Buñuel e Dalí erano degli anarchici, non erano adepti di un manifesto rigoroso, ma due pazzi magari geniali che andavano per la loro strada e riuscivano a farsi accettare. Questa è una sequenza che è bene vedere e memorizzare ed è doveroso farla entrare nella nostra antropologia.

Finazzer Flory
Torniamo al confronto fra pittura e cinema: El Greco, nelle sue tele, risente degli influssi dell'ambiente culturale dell'epoca, animato da personaggi del calibro di Cervantes, Lope de Vega e Luis de Góngora. Inoltre, reinterpreta la tradizione lavorando sul rapporto fra luce e ombra, mutuando anche la lezione di illustri predecessori in materia e offrendoci una chiave d'accesso a ciò che è irrappresentabile, ultramondano.
Su di un altro versante, Buñuel, con il film Nazarin (1958), affronta il tema della religiosità in una vicenda violenta ambientata in Messico, fra estrema povertà e desolazione. Anche il film è la trasposizione di un'opera letteraria: dall'omonimo romanzo di Benito Pérez Galdós. Ma qual è la chiave di lettura per accedere a questo universo?

Farinotti
Il film Nazarin è la storia di un prete buono, che vive di elemosina, e tutto quello che possiede lo dona agli altri. Cammina percorrendo la Spagna, cerca lavoro e lavora gratis, con il vitto come unica retribuzione. Si tratta di un personaggio assolutamente razionale, anche se dotato di una grandissima fede. Le donne lo adorano per la sua bontà. Ma in molti lo maltrattano, addirittura gli usano violenza. Viene accusato di approfittare delle situazioni, delle donne per esempio, viene giudicato e condannato. Le sue regole, i suoi codici, non sono capiti. È l'assunto di Buñuel, secondo cui fare del bene è impossibile, perché la società lo impedisce.
A questa estetica, al tema della violenza dei poveri, della gente che non riesce a trovare una mediazione sentimentale, si ispirerà anche Almodovar, aggiungendo però l'elemento della solidarietà. Buñuel non è solidale, è un «crudele», mostra la parte cattiva dell'umanità, sia pur con l'ironia della chiave surreale. Le donne di Almodovar, rappresentate a colori forti, con grandi contrasti e prevalenza del rosso, come nella fase cromatica di El Greco, subito dopo gli scontri si ritrovano abbracciate; le donne di Buñuel si odiano davvero. Ma è interessante vedere come Buñuel abbia tracciato una strada nel cinema spagnolo feconda di possibili sviluppi, di diverse estetiche.

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