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L'albero della vita: innovare la fantascienza moderna pensando a Kubrick

La parabola "artigianale" di Aronofsky crolla sia dal punto di vista della coerenza intellettuale che da quello del risultato finale
di Gabriele Niola

lunedì 19 marzo 2007 - News
La storia della genesi de L'albero della vita è fortemente intrecciata con la storia della genesi dei suoi effetti speciali. Perché quello che Aronofsky voleva fin dal primo momento era qualcosa che fosse definitivo ed eterno, qualcosa che offrisse una visione del futuro e dello spazio destinata a non invecchiare mai. È stato lui a tirare in ballo 2001: Odissea nello spazio con i suoi effetti speciali ancora oggi attuali e credibili, molto più di tanti film più moderni. E questo, secondo Aronofsky, perché non veniva usata la computer grafica.
L'idea per L'albero della vita viene al regista all'uscita dal film Matrix. L'opera dei fratelli Wachowski lo aveva colpito per come erano riusciti a riassumere 30 anni di evoluzione del pensiero fantascientifico e contemporaneamente a spingere in avanti il genere: "Che tipo di film di fantascienza si possono fare adesso?" era la domanda che lo tormentava. E così decise che sarebbe stato lui a dirigere il prossimo passo in avanti del genere.

Purtroppo non c'è riuscito e nonostante un massiccio investimento della produzione nemmeno il pubblico è stato dalla sua. Questo perché la fantascienza non è negli effetti speciali, questi sono una componente utile a ricostruire ciò che non c'è ancora ma che si immagina. E il loro compito non è quello di essere realistici ma, come tutti gli elementi di un film, di essere evocativi. Questo è poi valido in modo particolare per la fantascienza che più che un genere è un modo di vedere le cose, come insegna bene Lucas con il suo primo lungometraggio: L'uomo che fuggì dal futuro, nel quale il regista costruisce un ambiente perfettamente futuribile a budget praticamente zero, solamente con un accorto uso della recitazione, delle luci, del bianco (che con una geniale intuizione si rivela perfetto per descrivere gli ambienti futuri) e dei costumi.
Il film non ha avuto comunque una genesi facile e la sua fattura merita di essere ricordata per alcuni spunti interessanti.

All'inizio Aronofsky aveva la totale fiducia degli studios e di star come Brad Pitt e Cate Blanchett, il progetto infatti si è arenato solo in un secondo tempo per una difformità di vedute tra Aronofsky e Pitt, che in seguito ha lasciato il progetto assieme anche a una buona parte del budget. Ci sono voluti allora molti anni e cambi di troupe perché le riprese cominciassero, ma alla fine Aronofsky ce l'ha fatta a finire il suo progetto più ambizioso anche se con metà del budget iniziale (da 70 a 35 milioni di dollari).
Chiaramente la prima cosa da fare era trovare un modo per rendere sullo schermo la visione del regista senza usare la computer grafica, perché per l'appunto quello doveva essere lo specifico dell'opera. Per questo sono stati assunti pittori che dipingessero le nebulose e soprattutto è stato raggiunto Peter Parks, un biologo marino e microfotografo, capace di fotografare una microlitro d'acqua e magnificare l'immagine fino a 500,000 volte la sua grandezza originaria grazie a giochi di lenti e prismi.
Parks lavora a Londra in uno studio di effetti speciali a conduzione familiare (sono lui e il figlio), con il quale fornisce sfondi e fotografie impossibili da immaginare solo giocando con i fluidi. È lui stesso a spiegare come guardando le sue foto sembri di guardare l'infinito poiché "le forze che lavorano nell'acqua sono le medesime che agiscono nello spazio".

La visione che il microfotografo ha degli effetti speciali è molto semplice: "La gente che lavora alla computer grafica ha il pieno controllo su tutto quello che fa [per questo] quello che cercano continuamente è la casualità, in modo da non essere limitati dalla propria immaginazione. Io non ho la possibilità di fare due volte la medesima cosa". Per la precisione gli elementi utilizzati da Parks per le fotografie che sono servite da fondale spaziale erano reazioni chimiche, liquidi e polvere di curry. Ogni foto un diverso universo e questo era proprio quello che Aronofsky cercava e ora poteva disporre di incredibili effetti che sarebbero costati milioni di dollari all'Industrial Light And Magic per soli 140,000$.
Queste immagini sono effettivamente impressionanti e più "organiche" di qualsiasi immagine in computer grafica mai vista eppure sarebbe sbagliato considerare pari a zero l'intervento del digitale. Un certo uso di effetti computerizzati è stato indispensabile per fondere al meglio le immagini e per scene come quelle della stella che esplode o lo sbocciare dell'albero della vita dall'interno del corpo di Hugh Jackman. Ma non solo, benché la gran parte degli effetti fosse di natura organica la mentalità che ha guidato la loro creazione, per stessa ammissione degli autori, era computer-centrica, pensata cioè per una postproduzione o per un'elaborazione successiva. Ecco quindi che la parabola "artigianale" di Aronofsky crolla sempre di più sia dal punto di vista della coerenza intellettuale che poi (e decisamente) da quello del risultato finale, bello ma freddo.

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