Prisoners |
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Un film di Denis Villeneuve.
Con Hugh Jackman, Jake Gyllenhaal, Viola Davis, Maria Bello, Terrence Howard.
continua»
Titolo originale Prisoners.
Drammatico,
durata 153 min.
- USA 2013.
- Warner Bros Italia
uscita giovedì 7 novembre 2013.
- VM 14 -
MYMONETRO
Prisoners
valutazione media:
3,47
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Il detenuto Villeneuvedi Germano F.Feedback: 1250 | altri commenti e recensioni di Germano F. |
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domenica 10 novembre 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Ci troviamo nella profonda, profondissima provincia americana con tutti i suoi equivoci e strumentali clichè. Due famiglie si ritrovano per festeggiare il giorno del Ringraziamento in serenità e amicizia, ma anche in una dignitosa e molto americana austerità. A un certo punto le due bambine più piccole spariscono, non si riescono più a trovare. Frenesia, angoscia e poi disperazione prendono sempre più piede nelle due famiglie scardinandone certezze e serenità. Le indagini vengono condotte da un poliziotto intelligente, esperto, affidabile, ma i risultati latitano. E il padre di una delle due bambine decide un colpo di mano : rapisce e tortura l'unico sospettato, un ragazzo ritardato e incapace di comprendere ciò che gli capita. Il regista Villeneuve da tutto questo tenta di produrre una critica, o meglio una metafora, della società americana, delle sue paure, delle sue fobie, delle sue scarne e, a volte, assurde certezze. Ma è evidente un certo imbarazzo, una certa difficoltà nel riuscire a produrre un'opera dalle molteplici sfacettature. La sceneggiatura a volte fatica, stenta a dare ritmo ad un thriller che vuole essere accattivante e simbolo della famiglia americana. L'idea delle molteplicità di reazioni alla tragedia che colpisce le due famiglie funziona fino a un certo punto : la personalità e la necessaria presenza di Keller fagocita tutti gli altri ( al punto che ad un certo punto ci si chiede che fine abbia fatto Maria Bello, che interpreta la moglie di Hugh Jackman). L'unico che sembra tenergli testa è il detective Loki (un ottimo Jake Gyllenhaal), ma anche qui la sceneggiatura non riesce a trovare momenti di reale confronto dialettico o di profondità psicologica. Il fulcro del film è il rapimento da parte di Keller dell'unico sospettato (Paul Dano), la segregazione e le torture che gli infligge, i dubbi dell'altro padre (Terrence Howard). L'idea di fondo è sicuramente quella di enfatizzare i dubbi che una simile azione porta in sè, soprattuto negli Stati Uniti post 11 Settembre, post Iraq, post Guantanamo. Ma l'operazione fallisce miseramente : le torture sono solo immaginate, mai realmente mostrate (una sorta di pudore o di autocensura per non urtare la sensibiltà del perbenismo americano); i dubbi di Terrence Howard e di Viola Davis (sempre comunque molto brava) sono solo accennati, mai approfonditi, appannati da lacrime e disperazione, non riescono di certo a confrontarsi con la granitica certezza di Keller, il quale può contare su una fede religiosa sconfinata e quasi ossessiva. Ma forse quello che più indispone di questa metafora è che alla fine il personaggio di Hugh Jackman ha ragione : il ritardato sa veramente dove sono le bambine, le convinzioni di Keller, le sue certezze, il suo istinto, sono stati più accorti, sono arrivati più lontani della razionalità del dective Loki (simbolo di intelligenza e di riflessività). In poche parole sembra che il film tenda ad enfatizzare questo tipo di pratiche, piuttosto che a condannarle. Villeneuve in questo fallisce, si allontana di migliaia di miglia dal suo capolavoro "La donna che canta", si perde sicuramente (e amaramente) in quelli che sono i dettami hollywoodiani e di commercializzazione di un prodotto che si è cercato di destinare ad un pubblico più ampio possibile. Il finale ne è l'esempio più eclatante e fa scivolare un film che fino a quel punto si era mantenuto su un precario equilibrio di profondità introspettiva e di azioni calibrate e coerenti. Le motivazioni di Melissa Leo sono quanto meno ridicole, quasi insulse. La lunga corsa contro il tempo di Jake Gyllenhaal cerca improvvisamente di dare ritmo ad un finale di per sè piatto e che non riesce a coinvolgere a pieno. Il suono del fischietto che attira l'attenzione del detective Loki nel finale conduce più al sorriso che alla speranza. Ci rimangono comunque alcune discrete intuizioni cinematografiche e qualche buona scena : la location innanzitutto, ottimo esempio di provincia americana nell'era Obama, la pioggia e il grigiore di un tempo metafora di una situazione disperata e senza luce, senza via di uscita (immensa prigione delle nostre angosce); il sorriso di Jake Gyllenhaal al momento dell'arresto del secondo sospettato; il modo in cui è vestito quest'ultimo; il personaggio di Keller, comunque ottimo esempio di americano medio di provincia post Bush. Ci rimane il titolo "prisoners" : prigionieri riferito alle bambine segregate, ai genitori prigionieri della loro disperazione e delle loro differenti, tragiche reazioni, del detective Loki, prigioniero di un lavoro sempre a contatto con angoscia e paure. Ma forse prigionero è stato lo stesso Villeneuve, rinchiuso nelle gabbie commerciali e di controllo delle grandi major : spero vivamente che faccia un passo indietro e ritorni a produzione più intime, ma più interessanti.
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