Anno | 2018 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Danimarca |
Durata | 85 minuti |
Regia di | Malene Choi |
Attori | Thomas Hwan, Karoline Sofie Lee . |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 15 ottobre 2018
Un ibrido tra documentario e fiction, in cui convergono le testimonianze e le esperienze di chi è riuscito a trovare i propri veri genitori.
CONSIGLIATO SÌ
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Karoline, una spiritosa ragazza danese, ritorna per la prima volta dai tempi della sua adozione nel suo paese d'origine, la Corea del Sud. Non è un viaggio di piacere. Vuole trovare i suoi genitori biologici. Lì, conoscerà Thomas, un suo coetaneo e connazionale che sta intraprendendo la stessa ricerca. Insieme, andranno incontro non solo a (vere) storie molto simili alle loro, ma anche alle difficoltà burocratiche ed emotive che le persone adottate devono affrontare per scoprire l'identità di chi scelse di lasciarli.
Un ibrido tra documentario e fiction, in cui convergono le testimonianze e le esperienze di chi è riuscito a trovare i propri veri genitori e le immaginarie solitudini interiori di Thomas e Karoline, che sentono un pezzo della loro vita come "non appartenente" al tutto.
Una scelta di genere provocatoria, ma talmente sfumata da essere perfettamente integrata con il racconto di finzione. Forse perchè la regista, Malene Choi (Scuola del Cinema di Copenaghen e numerosi cortometraggi ospitati in vari festival internazionali alle spalle) inserisce se stessa nel background della protagonista. Anche lei, infatti, è danese, è originaria della Corea ed è stata oggetto di un'adozione trasnazionale quando era ancora una neonata.
Così The Return , la sua opera prima, si pone come obiettivo quello di raccontare le storie di questa celata minoranza europea. E lo fa con tutta la modernità e la bellezza che un'opera audiovisiva può avere. Non solo perchè è, per sua natura, un mix di generi e stili bilanciati in maniera ottimale (a tratti, per certe inquadrature, luci e scene ricorda un po' Lost in Translation), ma anche perchè nei contenuti, tratta le conseguenze di questo tipo di adozioni. Una di queste è la frase "non sembri nemmeno asiatica", pronunciata dalla madre adottiva di Karoline per confortarla, quando a scuola subiva il bullismo dei suoi compagni per il suo aspetto. Karoline la ripete a cena con altri ragazzi sudcoreani, raccontando l'accaduto e agitando la mano sul suo volto orientale, come a volerle rispondere oggi "Ma che dici? Tutto questo non ti sembra asiatico?".
Parole d'amore errate, chiaramente. Non c'era nulla che potesse alleviare la sensazione di alterità che Karoline provava ogni volta che si confrontava con i danesi o guardava il suo riflesso. Dopo molti anni, quella sensazione è ancora lì. A tormentarla. Chi sono loro? Chi è mia madre? Perchè mi hanno abbandonato? Che cosa è successo? Il ritorno in Corea ha lo scopo di fornire le risposte a queste domande.
Già, il ritorno. The Return. Un titolo che è una beffa per lo spettatore e per Karoline. Formalmente, si tratta certo di un ritorno, ma l'esperienza della protagonista in Corea è nuova. Il suo paese le è completamente avulso, estraneo. Non sente alcuna familiarità per luoghi, persone, lingua, piatti. Anche l'incontro casuale con Thomas, malgrado ciò che li accomuna, non fa che aumentare la sua alienazione, il senso di incompletezza, il bisogno di fare la nomade contemporanea tra pericolose scalinate rurali e grigi uffici in città. Quasi possiamo avvertire in questo sbandamento, in certe immobilità e nei prolungati silenzi, il rumore di un'identità da ricucire. E più ci si trova di fronte a tasselli apparentemente non corrispondenti, più diventa difficile seguire Karoline.
Il maggior pregio rimane comunque la sapiente struttura. Malgrado sia per metà "a soggetto", non si avverte la finzione. E malgrado sia per l'altra metà "documentario", non si eccede nel sentimentalismo. Il montaggio di Julius Krebs Damsbo, che inverte il prima con il dopo di ogni parte reale, sorregge questa unitarietà, mentre l'occhio (fisso e ravvicinato) e l'orecchio di Malene Choi ci mostrano abilmente i contrasti culturali.
The Return non ha grandi pretese. Ma è un veloce pugno allo stomaco per lo spettatore ogni volta che scopre che il sistema di registrazione delle nascite non è aggiornato, che gli assistenti sociali non sono sempre disponibili ad aiutare gli adottati, che la burocrazia blocca ogni sviluppo sulle indagini. Perchè a volte, c'è anche questo in una vita. Il nulla di fatto. L'attesa infinita. Lo smisurato e viscido ignoto sul quale si avanza con il rischio di scivolare o di rimanere impantanati.