Titolo originale | Shut Up and Play the Piano |
Anno | 2018 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Germania, Francia, Gran Bretagna |
Durata | 82 minuti |
Regia di | Philipp Jedicke |
Attori | Gonzales, Daft Punk, Jarvis Cocker, Peaches, Leslie Feist Sibylle Berg, Puppetmastaz, Kaiser Quartett, Joe Flory, Raik Holzel, Raz Ohara, Renaud Letang, Kleber Valim, Lena Buhl, Cornelius Meister, Martin Bentz, Jansen Folkers, Ingmar Süberkrüb, Adam Zolynski. |
Tag | Da vedere 2018 |
Distribuzione | I Wonder Pictures |
MYmonetro | 3,31 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 26 gennaio 2021
Un viaggio pieno di megalomania e musica per pianoforte. Chilly Gonzales: dalla scena punk di Berlino alle orchestre filarmoniche.
CONSIGLIATO SÌ
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Uno sguardo ravvicinato alla carriera dell'eccentrico Chilly Gonzales, compositore e musicista di enorme talento scisso tra preparazione classica ed estro trasgressivo e contemporaneo. Ma il mistero che pervade la figura di Gonzales, al secolo Jason Beck, canadese di origini ungheresi, è destinato a rimanere tale anche dopo la visione del documentario di Philipp Jedicke: chi è il vero Chilly Gonzales, ammesso che ne esista uno, celato sotto le mille maschere e le pochade messe in scena di volta in volta?
Oltre a non rispondere, Shut up and Play the Piano gioca su questa ambiguità, arrivando in una sequenza a lasciare campo libero a una serie di improbabili surrogati dell'artista, comparse intente a recitare i testi del musicista, interpretandoli in base al di lui stile.
Ma anche questo è una sorta di deep fake, interno al sistema di scatole cinesi ideato e voluto da Gonzales stesso, che conferma la volontà del nostro di ricorrere a ogni mezzo per ottundere lo spettatore con il suo multiforme talento, allontanandolo da ogni speculazione sulla natura più profonda dell'uomo e dell'artista.
Quel poco che si riesce a scalfire tuttavia apre spiragli di grande interesse: come il rapporto con il padre, immigrante ebreo arricchitosi enormemente in Canada nel mercato immobiliare, che vediamo ritratto insieme agli uomini più potenti del mondo: o quello, competitivo e forse conflittuale, con il fratello Christophe, acclamato compositore classico e autore di colonne sonore di successo, tra cui quelle di Frozen e Una notte da leoni.
Jason è chiaramente la pecora nera, il punk che preferisce il gesto guascone e iconoclasta al rigoroso rispetto dell'autorità, ignorato dal conservatorio e relegato a curiosità dal microcosmo alternative. Ma di questo successo a metà, e perennemente di nicchia, Gonzales non sembra curarsi più di tanto: il compiacimento, nell'interpretare il ruolo di oggetto non identificato, è parte del gioco.
Proprio la premeditazione che sembra nascondersi sotto ogni sua apparente follia è ciò che rende Gonzales irritante per i più e sfuggente per l'indagine di Jedicke, che tende sempre ad assecondare l'istrione anziché metterlo in difficoltà.
Dal documentario i fan del musicista sono destinati a scoprire poche novità, ma saranno inebriati dal ripasso; i neofiti invece hanno modo di conoscere e di scontrarsi con il genio abrasivo del canadese nella maniera migliore, con un'osservazione a 360 gradi che suggerisce di cosa sia capace questo curioso incrocio di Frank Zappa, Sacha Baron Cohen e - perché no - il nostro Alessandro Bergonzoni. Spiccano poi alcuni rari reperti di footage dalla ruggente scena berlinese di fine anni 90, con Gonzales in compagnia di altri connazionali in fuga destinati a grandi cose, come la cantautrice Feist e la trasgressiva performer Peaches.
O ancora, le schegge di Daft Punk risalenti all'epoca di "Random Access Memories", capolavoro impreziosito anche dal contributo di Chilly Gonzales. Che grida talmente tanto la propria natura di genio incompreso da farci credere, in più di un'occasione, che ci sia del vero.
Fine anni 90. Jason Beck è un freak, un megalomane ancora in erba. Lascia il Canada per Berlino, con un obiettivo: realizzarsi come musicista. Il nome d'arte: Chilly Gonzales. Il genere: il rap, con influenze elettro-punk. Dopo i primi album, si perde nell'ostentazione di uno stile fine a se stesso, nella ricerca di consenso. La svolta è la riscoperta del pianoforte: lo studiava da ragazzo, e ora lo [...] Vai alla recensione »