Anno | 2017 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Italia |
Durata | 71 minuti |
Regia di | Melkana |
Uscita | giovedì 18 ottobre 2018 |
Distribuzione | Distribuzione Indipendente |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 2,73 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 17 ottobre 2018
La Liberi Nantes Football Club è una squadra di calcio composta da rifugiati e richiedenti asilo, che partecipa al campionato di terza categoria senza poter concorrere al titolo. In Italia al Box Office FuoriCampo ha incassato nelle prime 6 settimane di programmazione 287 e 106 nel primo weekend.
CONSIGLIATO SÌ
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Un gruppo di giovani rifugiati e richiedenti asilo vede nel calcio la possibilità di costruirsi una vita in Italia. C’è chi sogna di giocare nelle grandi squadre di Serie A, chi semplicemente cerca una professione per guadagnare un po’ di soldi. La Liberi Nantes Football Club riunisce in un’unica squadra queste promesse delle sport ma, sebbene partecipi regolarmente alle partite del campionato di terza categoria, non può competere per il titolo. Solo pochi dei migranti ha infatti tutti i documenti in regola per soggiornare nel nostro paese.
Nato da un progetto dell’Università di Roma Tre, il collettivo Melkanaa segue le storie dei protagonisti nella loro quotidianità, fatta di lavori occasionali, studi legali, burocrazie, adulti che propongono il loro aiuto ed altri che sono meno propensi all’accoglienza.
I giovani calciatori non sembrano sentire la pressione della macchina da presa e mostrano senza filtri la loro umanità: l’ingenuità del loro sogno di inseguire la massima categoria del campionato di calcio si fonde con la cupa consapevolezza della difficoltà di rimanere in Italia e di sopravvivere con i pochi soldi a disposizione. Grazie alle loro parole si apre uno squarcio sulle vite di questi ventenni che, senza copione, mettono in luce le problematicità di una vera e propria integrazione. Diverso è invece l’approccio del controcampo adulto.
Forse perché il documentario voleva mettere poco l’accento sull’intero contesto, o forse perché da parte loro c’era maggiore consapevolezza di essere ripresi dalla camera, non si riesce ben a cogliere quale sia il loro approccio nei confronti dei bisogni dei ragazzi. Emerge quindi un distacco, un’incomunicabilità dei due mondi che rileva ancora di più la solitudine e la malinconia di chi non sa in quali mani si troverà il proprio futuro.
I momenti dell’allenamento e delle partite rimangono quelli più chiari, che si dimostrano, senza bisogno di mediatori, vero e proprio elemento di aggregazione. In queste sequenze il documentario si apre, togliendosi di dosso il peso di dover gestire le parole ed i gesti complicati delle due parti che spesso risentono dell’inesperienza di chi li riprende.
Manca una vera struttura progettuale che faccia emergere la totalità della situazione a cui sopperisce solo la volontà dei protagonisti a mettersi a nudo. Dalle loro testimonianze emerge ancora di più la necessità di trattare queste tematiche, approfondendo maggiormente cause e conseguenze, soprattutto sulla sponda italiana, trattata in maniera superficiale in questo frangente.