Anno | 2017 |
Genere | Azione |
Produzione | Corea del sud |
Durata | 126 minuti |
Regia di | Park Kwang-Hyun |
Attori | Ji Chang-wook, Shim Eun-kyung, Jae-hong Ahn, Kim Sang-ho, Jeong-se Oh, Tapia Kahlid Elijah . |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 1,99 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 27 aprile 2017
CONSIGLIATO NÌ
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Kwon, un campione di tae kwon do cacciato per comportamento violento, diviene dipendente dai videogame, a cui si dedica ininterrottamente insieme a un gruppo di giocatori anonimi denominato Resurrection. Quando Kwon viene incastrato con un'accusa di stupro e omicidio, solo i suoi compagni di gioco lo potranno salvare dalla detenzione a vita. Ma una volta fuori il vero colpevole non gli darà scampo.
La visione di Fabricated City rappresenta una lezione molto utile su come il titolo di regista non significhi autore: assunto che vale nel cinema mainstream di oggi in generale, e in quello sudcoreano in modo particolare.
Park Kwang-hyun nel 2005 girava, su script di Jang Jin, Welcome to Dongmakgol, successo di critica e di pubblico. Un apologo morale travestito da war movie, un mix di creatività e sentimento su un Paese eternamente spaccato in due, che riscosse entusiasmi anche al Far East Film Festival di Udine, con una media voti stratosferica. Nulla avrebbe fatto supporre dodici anni di silenzio cinematografico per il regista. Dopo questa pausa di lunghezza malickiana Park torna dietro la macchina da presa nella maniera più singolare, ossia con un tonitruante action movie che pare un incrocio tra Minority Report, Fast and Furious e un videogioco sparatutto in soggettiva, stile Quake o Duke Nuke'em 3D.
Nonostante la riuscita in questo particolare sottogenere - come chiamarlo? cyber-thriller-chase-action movie? - resti una prerogativa a stelle e strisce, la Corea periodicamente ci riprova. Le ambizioni e il coraggio non mancano, ma evidentemente non bastano. L'estetica di Fabricated City non si eleva mai rispetto a quella videoludica e l'intreccio non coinvolge, per molte ragioni: succedono troppe cose troppo poco importanti, ma spacciate per tali, in un lasso di tempo troppo breve; i personaggi sono cliché; il villain ha un'identità prevedibile ed è privo di fascino. Oggi nessuno si impressiona più per falsificazioni di prove, cyber-terrorismo e inseguimenti a rotta di collo, anche perché giocare sull'accumulo e lo stupore contro Fast and Furious, con tutto quello che si può pensare di una saga di crescente ottusità come quella con Vin Diesel, significa perdere rovinosamente la sfida.
A supportare Park non c'è un'estetica che abbia una personalità e che sfugga alle trappole della post-produzione, ingrediente fondamentale per aiutare l'esperienza immersiva in un giocattolone che ha fin troppa concorrenza sul mercato. Visto l'incipit videoludico senza che l'origine sia nota da subito allo spettatore, probabilmente l'intento di Park era quello di mimetizzare il più possibile il videogame all'interno del film. Purtroppo l'esito corrisponde all'esatto contrario.
Decine e decine di film di Stallone, Schwarzennegger, Statham, Willis, Reeves, Gibson e dobbiamo dire di no proprio a questo? Il film è molto bello, godibile e avvincente. Inizia con la frenesia del video game, continua con la crudezza del film di denuncia e poi esplode nell'action. Bello il senso di fedeltà alla squadra ad ogni costo, nessuno deve essere lasciato indietro.