Anno | 2016 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Corea del sud |
Durata | 123 minuti |
Regia di | Choi Kook-Hee |
Attori | Lee Da-wit, Lee Jung-hyun, Yu Ji-tae . |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento domenica 30 aprile 2017
Tre uomini accomunati dalla passione per il bowling troveranno il modo di risanare un grosso debito grazie al gioco.
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CONSIGLIATO SÌ
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Cheol-jeong era una star del bowling professionistico. Quando lo ritroviamo anni dopo, è un fallito: zoppo, con un problema di alcolismo, ridotto a barcamenarsi vivendo di espedienti. Quando incontra Young-hoon, un ragazzo autistico che infila uno strike dopo l'altro, fiuta la possibilità di riscattarsi, accogliendo sotto la propria ala il ragazzo.
Tra i molti pregi del cinema medio sudcoreano c'è sicuramente quello di affrontare senza vergogna la lunga tradizione americana, girando storie che potrebbero appartenere alla New Hollywood e cercando di perfezionarne i pattern consolidati. Tra i difetti invece figura il fatto di non accontentarsi mai di chiudere una storia su un tono medio: servono finale e controfinale, tronfia esaltazione ed enfasi retorica. Split rappresenta un esempio perfetto di ambedue le tendenze.
Benché bastino pochi minuti per leggere attraverso lo script e comprendere la funzione di ogni personaggio - la colpa e la redenzione di Cheol-jeong, il legame invisibile tra lui e Young-hoon - la capacità narrativa di Choi Kook-hee è tale da rendere un piacere la compagnia per più di un'ora di queste differenti tipologie di esseri umani fallati e problematici. Una piccola lezione sulla funzione che il cinema medio dovrebbe svolgere e a cui oggi - in parte - provvedono le serie tv: semplicità, brillantezza di sceneggiatura, possibilità di creare un transfert tra spettatore e personaggio fittizio. Ma, come troppo spesso avviene in Corea, ci pensano gli ultimi venti minuti a rovinare tutto, con una risoluzione sbrigativa ed eccessiva, melodrammatica, carente a livello di recitazione e di post-produzione. Inevitabile poi ripensare al film nella sua globalità e ridimensionarlo, ma qualcosa di quella piacevole sensazione di rimpatriata da Hollywood settantesca rimane.