La Mano Invisibile

Film 2016 | Drammatico, +13 80 min.

Titolo originaleLa Mano Invisible
Titolo internazionaleThe Invisible Hand
Anno2016
GenereDrammatico,
ProduzioneSpagna
Durata80 minuti
Regia diDavid Macián
AttoriAnahí Beholi, Josean Bengoetxea, Eduardo Ferrés, Elisabet Gelabert, Christen Joulin Marta Larralde, Esther Ortega, Bruto Pomeroy, Daniel Pérez Prada, Marina Salas, Txema Arribas, Luis Fernández de Eribe, Bárbara Santa Cruz, Natalia Silva, José Luis Torrijo, Alberto Velasco, Pablo Álvarez.
Uscitagiovedì 23 novembre 2017
TagDa vedere 2016
DistribuzioneExitMedia
RatingConsigli per la visione di bambini e ragazzi: +13
MYmonetro 3,30 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di David Macián. Un film Da vedere 2016 con Anahí Beholi, Josean Bengoetxea, Eduardo Ferrés, Elisabet Gelabert, Christen Joulin. Cast completo Titolo originale: La Mano Invisible. Titolo internazionale: The Invisible Hand. Genere Drammatico, - Spagna, 2016, durata 80 minuti. Uscita cinema giovedì 23 novembre 2017 distribuito da ExitMedia. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13 - MYmonetro 3,30 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento venerdì 24 novembre 2017

In un capannone industriale, 11 persone vengono contrattate per fare il proprio lavoro davanti a un pubblico che non vedono.

Consigliato sì!
3,30/5
MYMOVIES 3,50
CRITICA
PUBBLICO 3,09
CONSIGLIATO SÌ
Un gruppo di professionisti accetta di partecipare al reality tv più rivoluzionario di sempre: lo show del lavoro, il talent in cui per vincere basta lavorare. Possibilmente senza lamentarsi.
Recensione di Ilaria Ravarino
lunedì 13 novembre 2017
Recensione di Ilaria Ravarino
lunedì 13 novembre 2017

Un gruppo di lavoratori dalle diverse competenze - un muratore, un macellaio, un magazziniere, una telefonista, un informatico, un meccanico - viene convocato e selezionato da una misteriosa azienda per partecipare a un esperimento di natura sociologica: un reality tv girato all'interno di un capannone, nel quale ciascuno di loro dovrà semplicemente svolgere il proprio lavoro. Il tutto di fronte a un pubblico di spettatori che potrà intervenire commentando, fischiando e applaudendo i "preferiti". Il progetto, partito sull'onda dell'entusiasmo dei partecipanti, presto comincia a mostrare un lato oscuro: per chi stanno lavorando davvero i "concorrenti"? Fino a che punto sono disposti a tollerare le condizioni di lavoro imposte dai "padroni"? E soprattutto: quelle condizioni di lavoro sono davvero uguali per chiunque, o c'è chi può considerarsi privilegiato?

La mano invisibile, in economia, è una metafora. Un concetto astratto che serve a spiegare quel meccanismo per cui, nonostante i singoli imprenditori tendano a inseguire il proprio interesse, il loro comportamento finisce col produrre benessere diffuso in tutta la società. Ma è davvero così?

Secondo il regista 36enne David Macián - e secondo Isaac Rosa, che è l'autore del saggio cui il film si ispira - la risposta è un secco no. Il lavoro è una coperta troppo corta per coprire tutti, è una giungla in cui il forte opprime il debole, il debole opprime il più debole, e il debolissimo, se gli si offre l'occasione di risalire lungo la scala, diventa il più terribile degli oppressori. La mano invisibile è una forza animalesca, è istinto di sopravvivenza attraverso la sopraffazione, è una spinta disgregante, centrifuga, fatale.

Resisterle comporta sacrificio: rischiare il proprio posto di lavoro per aderire a uno sciopero, schierarsi dalla parte dei colleghi in difficoltà, rinunciare ai propri privilegi. Più che un film, Macián mette in scena una crudele satira a orologeria sulla progressiva perdita di identità dei lavoratori, sulla svalutazione del "fare", sulla dissoluzione di qualsiasi idea di collettività. E lo fa, coerentemente, istituendo sul set un metodo di lavoro da collettivo, raccogliendo contributi e improvvisazioni degli attori in una cornice volutamente povera, essenziale, teatrale. "Il Dogville del lavoro", lo hanno definito i critici spagnoli. Di sicuro non gli manca la crudeltà.

Il lavoro è una cosa seria, ci dice Macián al principio, nei primi tre minuti del film, inquadrando il Muratore (José Luis Torrijo) che nel capannone vuoto gira la cazzuola nella malta, impasta i mattoni, li impila. Come una figura archetipica ideale, plasma la materia in un silenzio sacrale, ne ascolta la musica, la trasforma in opera. Un'opera fine a se stessa, che - lo dicono le regole del reality - verrà distrutta prima di corrompersi, prima cioè di diventare merce: il muro dovrà essere abbattuto, la carne macellata e poi buttata, i reggiseni cuciti dalla sarta distrutti. Tutti i concorrenti sono archetipi di un "tipo" di lavoratore e di una tipologia di professione, che ci vengono illustrate nel corso del film da una serie di flashback sui colloqui sostenuti per partecipare allo show: il burbero Macellaio (Josean Bengoetxea, tra i migliori) che ha scioperato ed è stato licenziato, la docile Operaia (Esther Ortega) che non ha mai studiato, il volenteroso Magazziniere africano (Christen Joulin) che vuole tornare a fare il lavoro per cui è preparato.
Ma questi archetipi, nell'Eden artificiale ricostruito just for the show, ci resteranno poco. La cacciata dal "paradiso" inizia infatti dopo una settimana, quando i concorrenti cominciano a chiedersi chi siano i loro padroni e se li stiano spiando: lavoreremmo altrettanto bene, se non ci fosse qualcuno a controllarci? E a che serve ciò che facciamo, se non diventa merce? La parola "dignità" viene pronunciata a venti minuti dall'inizio del film. E poi mai più. Dopo due settimane le condizioni di lavoro imposte dal reality cambiano, improvvisamente diventano meno umane: i padroni sono un "loro" che avanza pretese senza dare spiegazioni, i lavoratori non diventeranno mai un "noi". Sono divisi, attaccati ai propri interessi, sempre più paranoici. Incapaci di far fronte comune, si odiano e si attaccano fra loro: il lavoro manuale ("Io non penso mentre lavoro", si sfoga l'Operaia col Meccanico) contro il "non lavoro" intellettuale ("A nessuno interessa davvero quello che faccio", si lamenta l'Informatico), due mondi più simili di quanto si creda, troppo pericolosi se collaborativi e perciò destinati (dalla mano invisibile?) a perdersi.
Il commento del pubblico, delle sue risate e dei fischi, diventa sempre più ingombrante, spezza il silenzio, riempie il vuoto, si sovrappone e cancella il suono del lavoro. L'epilogo incombe dopo 40 giorni, quando la parola sciopero diventa finalmente atto. Ma contro chi incrociare le braccia? Chi sono, oggi, i nemici dei lavoratori?

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STAMPA
RECENSIONI DELLA CRITICA
giovedì 23 novembre 2017
Roberto Nepoti
La Repubblica

Molti film hanno raccontato storie di lavoratori, ma senza rappresentare il loro lavoro. Lo fa La mano invisibile, che (come il romanzo di Isaac Rosa) immagina un talent show dove undici "concorrenti" addetti a umili mestieri (sarta, muratore, meccanico, operaia, macellaio...) lavorano otto ore al giorno sotto gli occhi di un pubblico invisibile, percepito solo attraverso le sue reazioni; e che, alla [...] Vai alla recensione »

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