Anno | 2015 |
Genere | Azione |
Produzione | Cina |
Durata | 109 minuti |
Regia di | Xu Haofeng |
Attori | Liao Fan, Darren Grosvenor, Wenli Jiang, Jia Song, Yang Song, Shih-Chieh King Jue Huang. |
MYmonetro | 2,96 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 29 aprile 2016
Un giovane accompagna il suo maestro nella città di Tianjin per tentare di aprire una scuola di arti marziali.
CONSIGLIATO SÌ
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Chen Shi è un famoso erede della scuola cantonese di arti marziali dello Wing Chun, uno stile caratteristico del sud della Cina. Lottatore dalle capacità formidabili, è un maestro nell'uso delle cosiddette "spade farfalla", armi ideali per il corpo a corpo che derivano dalle sciabole d'abbordaggio dei pirati di Hong Kong. Il suo sogno è quello di aprire un dojo (cioè una palestra-tempio, "luogo [j] dove si segue la via [d]") nella città di Tianjin, situata nel nord del paese e celebre per i suoi guerrieri invincibili. Centro del film sarà appunto il tentativo di contaminarne le fierissime tradizioni con la tecnica del Wing Chun Quan, il "Pugilato dell'Eterna Primavera" di cui è uno dei più rispettati conoscitori. Per farlo, dovrà però trasmettere i suoi segreti a un allievo che si riveli in grado di sconfiggere otto campioni scelti dai principali dojo della città - oltre a un anziano maestro per lo scontro finale, Zheng Shan'ao (anche se quest'ultimo risultato è più che altro simbolico).
Proprio il Gran Maestro Zheng, del resto, sembra uno dei pochissimi disposti ad appoggiare le aspirazioni di Chen; il resto della comunità fa invece di tutto per ostacolarlo, sotto le manovre della temibile Zou, ex-moglie del precedente Gran Maestro. A supporto del protagonista e del suo ambizioso progetto, unico modo per tenere in vita gli insegnamenti del Wing Chun, stanno soltanto la bella moglie Zhao Guohui, riabilitata dal suo ruolo di cameriera e da un passato burrascoso come ragazza madre, e il discepolo Geng, un giovane carrettiere conosciuto durante un duello per l'amore di lei (lottatore acerbo ma dalle prospettive straordinarie). Non proprio due personalità di rilievo sul cui appoggio poter fare sicuro affidamento. Inizialmente Chen tenderà infatti a fidarsi più dell'onore di Zheng che dei trascorsi oscuri degli altri due. Ma, come le arti marziali hanno insegnato da sempre, non è dall'aspetto esteriore di un avversario che possiamo indovinare la sua forza. Allo stesso modo, non è dalle sue mosse iniziali che possiamo dedurne le reali intenzioni.
Date queste premesse, The Master si sviluppa con incedere elegante tra combattimenti simili a balletti acrobatici (come nella migliore tradizione cinese) e svolte narrative che finiscono per mettere i personaggi continuamente gli uni contro gli altri. Si imprime ad esempio nella memoria una sequenza in cui Chen sconfigge una trentina di malviventi con un lungo bastone di bambù, mentre trova il tempo di sedersi su una panchina accanto alla moglie per convincerla della sua buona fede: i 500 colpi ogni giorno da quando aveva quindici anni, la perdita del maestro, i sacrifici della famiglia per la sua corretta educazione, più o meno le solite cose. Il tutto accompagnato da un uso intelligente dei costumi e della musica, perfettamente adattati all'ambientazione di inizio Novecento. A quell'epoca l'impero cinese si ritrovava allo sbando a causa dello smembramento dovuto alla rivolta dei Boxer, e una zona di Tianjin (di circa 46 ettari) poteva addirittura finire in concessione al governo italiano.
La mano del regista e sceneggiatore Xu Haofeng è evidente, e in questo film le sue tematiche abituali sono portate a notevoli livelli di ricercatezza. La storia di The Master è tratta da un suo libro del 2014, e non è tra le più banali per un film "di kung fu", ma il punto di forza rimane la spettacolarità delle coreografie e delle armi utilizzate. In una scena per strada, ad esempio, i pugni nudi dei due combattenti risuonano come lame affilate a contatto tra loro. Nato in una famiglia di origini aristocratiche e diplomato all'Accademia del Cinema di Pechino nel 1997, Haofeng ha sempre diviso la sua attività tra lo studio delle arti marziali da un lato (culminato nel libro In "Search of the Lost Martial Arts World", del 2006) e quello delle arti visive dall'altro, da cui prenderà il via la sua passione per il cinema. È lo stesso Haofeng a citare tra le sue influenze le scene di massa di Visconti o i raffinati noir di Melville, nonostante la radice più forte della sua opera resti senza dubbio la filosofia delle arti marziali, la continua ricerca di equilibrio tra lo sviluppo dello spirito (zen) e quello del corpo (ken). Il suo tocco nostalgico è un segnale di avvertimento contro molte delle volgarità del presente: un omaggio alla cultura di antichi maestri in grado di maneggiare con uguale destrezza sia la penna che la spada.