Youth - La giovinezza |
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Un film di Paolo Sorrentino.
Con Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano.
continua»
Titolo originale Youth.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 118 min.
- Italia, Francia, Svizzera, Gran Bretagna 2015.
- Medusa
uscita mercoledì 20 maggio 2015.
MYMONETRO
Youth - La giovinezza
valutazione media:
3,65
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Quadri di un'esposizionedi ZararFeedback: 13464 | altri commenti e recensioni di Zarar |
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lunedì 1 giugno 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Un anziano direttore d’orchestra e un suo vecchio amico regista, in una asettica e piuttosto sinistra SPA svizzera di lusso, popolata da personaggi con l’aria di naufraghi e automi e da fugaci visioni di giovinezza trionfante, vivono con triste autoironia le limitazioni della vecchiaia, in una presunta vacanza che dovrebbe rimettere in forma il primo, facilitare l’ultimo e cruciale impegno registico dell’altro. Il direttore d’orchestra è apatico, il regista è vagamente eretistico. Su di loro si abbattono proprio in questa circostanza due colpi negativi: l’unica figlia del direttore d’orchestra è abbandonata dal marito; l’attrice a cui il regista è legato da sempre e a cui sogna di far interpretare il suo film – quello definitivo della sua vita - rifiuta nettamente, rinfacciandogli per sovrappiù la sua vecchiaia. Il regista, che pure sembrava il più vitale, sente di non avere più futuro e si suicida; di fronte a questo shock, l’apatico direttore d’orchestra in modo piuttosto sorprendente si salva, per così dire: decide che invecchiare è comunque meglio che morire, che non va rifiutato quel tanto di futuro che resta, e che ciò è possibile se si accetta fino in fondo il proprio passato. Si fa una certa fatica a mettere insieme la storia raccontata, perché questa storia in sé non ha nessuna forza nel film, nonostante qualche coup de théatre (piuttosto grottesco, oltretutto) . Il dialogo non morde e – a parte qualche felice battuta tra i due vecchi amici - è palesemente, e si direbbe volutamente, banalizzato, convenzionale, recitato. Perché Sorrentino, come già ne “La grande bellezza”, sembra suggerire che le parole non dicono niente di significativo, solo le immagini parlano veramente. Ma come già nell’altro film, il miracolo non riesce : e non perché la macchina da presa non sia nella mano di un maestro, o perché gli attori non siano bravi, ma perché si tratta di una sequenza di scene autoreferenziali, quadri di esposizione: astratti o espressionisti, grotteschi o romantici o bucolici, iperrealistici o ambiguamente onirici, pieni di echi filmici, artistici o letterari, corredati di accompagnamento musicale supersnob. Sotto ogni scena possiamo immaginare un titolo che suggerisce simboli e significati a volontà e tutto l’autocompiacimento del regista. Ma sono slegati, disorganici e non bastano a creare un discorso. Dov’è il Sorrentino di “This must be the place?”
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