Anno | 2012 |
Genere | Storico |
Produzione | Cina |
Durata | 120 minuti |
Regia di | Lu Chuan |
Attori | Ye Liu, Daniel Wu, Chen Chang . |
Tag | Da vedere 2012 |
MYmonetro | 3,28 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 13 aprile 2017
Con uno stile epico e appassionante, esteticamente impeccabile, Lu Chuan racconta la nascita della Dinastia Han, che governò la Cina dal 206 a.C. al 220 d.C., attraverso l'ascesa al potere del suo fondatore.
CONSIGLIATO SÌ
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La prima cosa che colpisce l'immaginazione di Liu quando arriva al palazzo imperiale dei Qing è un messaggio che piove dall'alto, dopo aver girato nei condotti che si snodano in tutto il palazzo. È il potere della parola, la forza della storia scritta dai vincitori, che Liu intuisce immediatamente; quella con cui schiaccerà i suoi nemici e i suoi amici, divenuti nemici dell'Impero, ridimensionandone le gesta in prospettiva di una gloria eterna.
Dopo il sensazionale The City of Life and Death, Lu Chuan confeziona un'altra ricostruzione di un drammatico momento della storia cinese, la fine dell'Impero Qing e la nascita della dinastia Han. E ancora una volta a contare sono le personalità degli uomini di potere, gli istinti che muovono le loro azioni e la capacità di zoommare e controzoommare idealmente dal particolare - ricostruito minuziosamente e con un attento lavoro di veridicità storica - al globale, rivoltando la Storia nei suoi lati più disgustosi moralmente e umanamente. Le gesta di Liu, traditore della fiducia accordatagli e poi Imperatore sanguinario e ossessionato dalla paranoia complottistica, sono per Chuan il peccato originale dell'uomo di potere in Cina, un seme del male piantato nel III secolo a.C. e germogliato fino a più di duemila anni dopo, insegnando l'arte della conservazione del potere con qualsiasi mezzo fino alle generazioni post-maoiste. Meno efficace forse il sottotesto shakespeariano, timidamente accennato dagli spettri che turbano il sonno di Liu, ma senza addentrarsi troppo in una materia che avrebbe condotto Lu Chuan a paragoni e comparazioni impegnative. Strabiliante invece il lavoro scenografico, che predilige un verismo a lume di candela a un'improbabile sfilata di costumi luccicanti, incrementando la sensazione del palazzo dell'imperatore come di un luogo tetro e opprimente, in cui la libertà di pensiero e la vita al di fuori della realpolitik non trova spazio. Per sottolineare il contrasto con la figura di Liu, interpretato da un Lu Ye che maschera gli eccessi nella barba folta, vengono sottolineati i tratti più gentili di due sex-symbol come Daniel Wu e Chang Chen, rispettivamente nei panni del nobile Yu, tradito da Liu, e del generale Xin, la cui drammatica esecuzione viene raffigurata con tratti da martirio cristologico. The Last Supper è un altro importante tassello per il cinema cinese, già grande nei mezzi e pronto a divenire grande anche negli scopi.