Dopo divorzieremo

Grace Peterson lavora in un grande magazzino che impone alle dipendenti la vita in un pensionato in cui non si possono ricevere uomini. Essendosi innamorata di Phil Golder, un violinista squattrinato, chiede alla poco attraente compagna di stanza Fanny, che lavora in un ristorante, di fingere un matrimonio che consenta a Phil di vivere nel loro appartamento. Il progetto prevede che non appena possibile i due divorzieranno ma le cose si complicano.
È il 1940 e l'Italia entra in guerra e forse proprio per questo gli italiani hanno voglia di distrarsi con commedie romantiche. Gli Americani non sono ancora dei nemici e quindi si può prendere la pièce teatrale di Alessandro De Stefani e imbastire un film che sembri hollywoodiano. Gli ambienti e gli abiti sono giusti, ci si dà, fascisticamente ma credibilmente, del 'voi' e quel tanto di malizia e di allusioni sessuali è consentito e gradito.
Il trio Gioi, Silvi, Nazzari funziona e in particolare quest'ultimo che, ancora lontano dai drammoni strappalacrime di Raffaello Matarazzo, può sfoggiare il fascino malandrino di un uomo che ha fatto del motto "ogni lasciata è persa" (mai esplicitato ma costantemente presente) la propria regola di vita.
Due canzoni al posto giusto, una sbarazzina e l'altra appassionata, e la trasformazione della brutta anatroccola in interessante cigno completano una sceneggiatura che ottenne un meritato successo al punto da spingere Malasomma a girarne un remake iberico dal titolo "El marido provisional" con Roberto Rey e Maria Mercader. 