Maruyama, the Middle Schooler

La comicità giapponese degli ultimi anni ha abituato a ogni genere di stranezze, come se il disagio palpabile di una società scatenasse per reazione quasi consequenziale risate incontrollate di fronte a quelle che è difficile non definire perversioni. Dalle più innocue alle più borderline, le perversioni di cui è costellato il condominio in cui è ambientato Maruyama sembrano l'unica via di fuga da una realtà standardizzata e opprimente, almeno in a japanese way. C'è chi si accontenta di un succo di frutta, come il padre di famiglia, chi di far picchiare dei piccoli pretendenti, come la bimba più carina del vicinato, chi sogna il protagonista di un drama coreano (anche se ridotto a fare l'elettricista condominiale) e chi invece va un po' più in là, come il giovane Maruyama e il bizzarro e meticoloso Shinoi. Dalle dinamiche di questa strana coppia trae linfa la vis comica di Kudo Kankuro, sceneggiatore e comico che con Maruyama giunge al terzo lungometraggio. Shinoi e Maruyama sono due outcast totali, anomalie del sistema che faticano a trovare una collocazione nei ranghi della società e per questo si ritrovano. "Quando la fantasia supera la realtà, allora scoprirai la verità" è il motto dei due, di cui farà tesoro Maruyama nel tentativo di portare a compimento la sospirata auto-fellatio.
Con una (anti-)struttura narrativa del genere, non c'è da stupirsi sul fatto che Maruyama finisca per smarrire a più riprese la retta via per sperperare quanto di buono lasciato intuire in mille diramazioni superflue. A parte alcune singole sequenze destinate a divenire cult, come l'anziano affetto da Alzheimer che imbraccia la chitarra e scatena le sue voglie di rock sopite (forse per Kudo una reminiscenza del precedente Brass Knuckle Boys), o altre che insinuano dubbi morali, specie quando Maruyama si denuda in pubblico, di cinematografico resta assai poco, come le tessere di un mosaico sparpagliate e poi rese irriconoscibili, tali da impedire di ricomporre il quadro generale. 