Bandage

Anche quando si parla di emo, fenomeno giovanile diffuso a macchia d'olio e che non accenna a scemare in popolarità, la via giapponese si differenzia da quella del resto del mondo. Fatti salvi alcuni punti fermi (maledettismo, vaga tendenza autodistruttiva, spiritualità spesso confinante con la new age), un'operina come Bandage affianca a questi stereotipi elementi inattesi e di gran lunga più interessanti.
Tutto ruota attorno al personaggio di Asako, una ragazzina che nell'incipit ci viene presentata come una potenziale groupie che, al primo contatto con i propri idoli, perde goffamente le lenti a contatto per essere poi cacciata dall'after party, ma che cela dentro di sé l'indole di una businesswoman in fieri.
Secondo un'etica del lavoro riconducibile a tanta nobile tradizione giapponese - basti pensare ai temi cari a Miyazaki Hayao, sovente con una ragazza come protagonista - Asako, interpretata da una sorprendente Kitano Kie, sembra avere già in mente il percorso che la attenderà, riuscendo a gestirsi in un mondo di bambini cresciuti a malapena come quello del pop. La strada più lunga e tortuosa, che comporta delle rinunce - come dire di no all'amore quando la proposta viene dall'idolo di cui hai il poster appeso in camera? - ma che si rivela come l'unico possibile per realizzare a pieno le proprie ambizioni, magari sacrificando (parte de)i propri sogni. 