Gli eroi del doppio gioco

Nel paesino di Vallerosa sull'Appennino toscoemiliano si attende l'arrivo di Benito, figlio del podestà fascista e in licenza dal fronte russo. Benito però, nonostante il nome, ha perso la fiducia del Duce che il padre e i suoi due fratelli sembrano invece conservare. 'Sembrano' perché non appena le sorti della guerra iniziano a volgere in favore degli Alleati anche la loro 'incrollabile' fede comincia a vacillare.
Camillo Mastrocinque, regista di attori (Totò, Sordi, Rascel, Manfredi, Tognazzi) a 17 anni dalla fine della guerra affronta il non facile tema del trasformismo italico. Ha a disposizione nel ruolo trainante un Carotenuto anche fisicamente adatto a rappresentare quelli che, con termine sartoriale, verranno definiti come voltagabbana.
I toni sono quelli della commedia (con Carlo Croccolo impegnato nel ruolo del figlio se non scemo almeno poco furbo). Ma il film non mette alla berlina solo chi si dichiarava fascista ma nell'animo suo era pronto a mille opportunismi non appena avesse visto la mala parata. Pone a confronto chi dell'antifascismo ha fatto propria più la retorica che la sostanza e chi invece è andato a rischiare la propria pelle (magari dopo aver conosciuto la durezza del fronte come Benito) con i partigiani. Non manca neppure il riconoscimento a chi, come il gerarca fascista, non cambia idea e affronta i rischi che ne conseguono.
Riuscire a trattare temi così spinosi conservando complessivamente la leggerezza del sorriso non era da tutti all'epoca. Mastrocinque riesce nell'impresa e chiude il film con una scena che rappresenta la quintessenza della tendenza (non ancora scomparsa) a salire sul carro del vincitore qualora se ne presentasse l'opportunità. 