Anno | 2019 |
Genere | Drammatico |
Produzione | USA |
Durata | 60 minuti |
Regia di | Lily Mariye, Josef Kubota Wladyka, Toa Fraser, Meera Menon |
Attori | George Takei, Derek Mio, Kiki Sukezane, Cristina Rodlo . |
MYmonetro | 2,75 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 17 ottobre 2019
Una stagione che narra il fenomeno storico dell'iInternamento dei giapponesi-americani e che si interroga sul vero significato di essere americani. La serie ha ottenuto 1 candidatura a Writers Guild Awards,
CONSIGLIATO SÌ
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A Terminal Island negli anni 30 vive una comunità di giapponesi in America, ma alcuni delitti turbano la tranquillità del luogo e risvegliano le superstizioni degli asiatici, che pensano sia opera di un fantasma o di un demone, uno yurei. Chester Nakayama ha inoltre problemi personali, perché la sua amante latinoamericana Luz è rimasta incinta. Di comune accordo la coppia ha deciso per l'aborto, mandando in crisi il rapporto. Soprattutto però un problema ben più vasto ribolle all'orizzonte: la Seconda Guerra Mondiale e il conseguente internamento dei giapponesi in America in appositi campi.
Impossibile non confrontare The Terror: Infamy, con la prima notevole stagione della serie e la seconda annata non può che uscirne pesantemente sconfitta, d'altra parte si tratta anche di una storia del tutto nuova, per certi versi ambiziosa e comunque con qualche pregio.
Il primo problema che emerge è il cast, non all'altezza del precedente, del resto se pur gli asiatici americani sono numerosi non vantano ancora i finissimi attori di lunga tradizione inglese che elevavano il materiale della prima stagione. Che le cose non stessero funzionando a dovere sembrano averlo capito anche gli autori, infatti dalla metà della stagione la serie prende strade inattese. Sembra si voglia superare il format originario, dove una microsocietà è bloccata in un luogo relativamente chiuso, ma è un tentativo abbastanza disperato di movimentare la vicenda.
Il protagonista Chester lascia infatti il campo in diverse circostanze, raccogliendo molto lentamente indizi sulla natura del fantasma che lo perseguita. Ciò distoglie l'attenzione da quello che è il vero orrore di The Terror: Infamy ossia i campi di internamento, che vengono più o meno ridotti a una sottotrama dedicata a un personaggio femminile tutto sommato poco collegata con il resto della vicenda. Allo stesso modo se è interessante il parallelismo tra la minoranza asiatica e quella latino americana, nel rapporto tra Luz e Chester, anche questo ci porta via via fuori dall'esplorazione di una cultura e una società intrappolata, che aveva fatto della prima stagione qualcosa di più di un horror.
Del resto anche produttivamente il confronto non è ad armi pari: la prima annata di The Terror è tratta da un romanzo di Dan Simmons ed è stata in pre-produzione per diverso tempo, la seconda invece sembra essere nata di fretta, con una deadline stringente per andare in onda entro un anno dopo e affidata ad autori del tutto diversi. Si tratta di Alexander Woo, noto per True Blood e soprattutto per le poco felici stagioni 5 e 6, e Max Borenstein, sceneggiatore dei nuovi film del MonsterVerse con Godzilla e King Kong. Insomma non esattamente due assi e se pur è rimasto Ridley Scott a produrre, di certo non ha passato il tempo a rivedere i copioni giorno per giorno. Il livello della scrittura non è, per farla, breve quello della prima stagione, inoltre l'impianto generale manca della medesima concentrazione tematica e soprattutto ha la colpa di partire in un modo per poi prendere un'altra direzione, biforcarsi e perdere il filo.
Non mancano comunque cose buone, in particolare l'episodio largamente metafisico sulle origini del fantasma, ma è notevole pure la seconda puntata dove si racconta la paranoia tra i giapponesi, che trattati come potenziali spie temono di avere davvero traditori tra loro e sono pronti a liquidarli senza scrupoli. Brillante anche la polisemia del titolo: l'infamia sarebbe quella di Pearl Harbor, così definita in una lettera di Roosevelt, ma chiaramente fu un'infamia anche la segregazione dei giapponesi in America, inoltre l'infamia è anche il disonore che dà origine alla maledizione dello spettro e pure alle difficoltà di Luz.
Se poi nel complesso la varietà degli ultimi episodi nuoce al piano generale, è comunque per altri versi gradita, perché ci allontana dalla impasse in cui gli autori sono finiti nel raccontare la vita nel campo di internamento. Lasciarlo è un espediente che alla lunga non paga, ma per lo meno porta con sé novità e sorprese, una breve ventata d'aria fresca. Il vero problema arriva però dopo il sesto episodio, che sembrava aver risolto la vicenda e a cui segue una ripartenza di altre quattro puntate che non aggiungono un granché, se non regole soprannaturali e ulteriori apparizioni fantasmatiche, ormai però private di mistero. Infine due parole sul prologo dell'ultimo episodio, dedicato a Hiroshima, che regala finalmente con un momento pregnante per il grande George Takei: non è abbastanza per salvare la serie, ma è comunque qualcosa resta.
Il sottotitolo plurivoco che introduce la seconda annata di The Terror vorrebbe render conto della ricchezza del formato antologico creato da David Kajganich: l'infamia è sì la tara familiare che costringe il protagonista Chester, figlio di giapponesi emigrati a Terminal Island, a fuggire - da una cultura che gli sta stretta e, poi, con lesto passaggio dal metaforico al "reale", dallo spettro d'una [...] Vai alla recensione »