Ferzan Ozpetek è un attore turco, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, assistente alla regia, è nato il 3 febbraio 1959 ad Istanbul (Turchia). Al cinema il 19 dicembre 2024 con il film Diamanti. Ferzan Ozpetek ha oggi 65 anni ed è del segno zodiacale Acquario.
È arrivato in Italia più di vent'anni fa per studiare Storia del Cinema all'Università La Sapienza di Roma. Il regista Ferzan Ozpetek, nato ad Istanbul nel 1959, è entrato nel mondo del cinema in qualità di aiuto regista per tanti importanti autori. Da Sergio Citti a Ricki Tognazzi, da Massimo Trosi a Francesco Nuti fino a Marco Risi che con la sua casa di produzione, la "Sorpasso Film" decise di produrre il suo primo film da regista Hamam-il bagno turco. Un debutto salutato con successo dalla critica e dal pubblico a cui seguirà Harem suare. È stata poi la volta di Le fate ignoranti interpretato da Margherita Buy e Stefano Accorsi. Per Ozpetek, tre film intensi che hanno fatto il giro del mondo, dopo i passaggi a Festival importanti come Cannes e Berlino. Nel 2002 ha diretto lo stupendo La finestra di fronte che ha ricevuto innumerevoli apprezzamenti dalla critica e molti David di Donatello. Nel 2004 è uscito Coure sacro, un film inedito per il regista turco nel quale però rimane ben riconoscibile il suo personalissimo stile.
«Come fanno i politici che hanno tutto, la macchina blindata, la segretaria, lo stipendio alto, a capire i problemi della gente che passa ore alla fermata dell'autobus, gente che deve fare la spesa calcolando anche i venti centesimi e che magari non arriva a pagare le bollette? Perché ci devono rappresentare persone così lontane dal popolo vero? Credo che mai come in questo momento ci sia un anello mancante, c'è troppa distanza fra la vita reale e quella del Palazzo. Ho tanta nostalgia di Nilde lotti e di Tina Anselmi, due donne mitiche, di una maturità eccezionale. Oggi, ci vorrebbero cento di loro per rimettere in sesto l'Italia. La Anselmi è stata fondamentale per la Dc: la sua politica odorava di bucato, ma era una politica energica, lei sapeva battere i pugni sul tavolo. Spero non si offenda se le dico che ha dimostrato di avere le palle!» Per trovare Ferzan Ozpetek bisogna arrivare nella zona industriale di Roma: un'area di passaggio, fra rotaie di tram, magazzini dismessi, l'ombra del gasometro che fa da sfondo a tutte le case, altissime, una volta abitate soltanto da famiglie nate qui, ai primi del Novecento. Fra i mercati generali che non ci sono più e la centrale elettrica Montemartini che è diventata un museo, c'è un quartiere a lungo snobbato dai romani e ora rivalutato: una casa qui costa a volte più che in centro proprio dalla magia delle immagini di questo singolare regista che vi ha ambientato il suo capolavoro, Le fate ignoranti. Un film sentimentalmente politico, com'è nello stile di questo strano e simpaticissimo ex ragazzo, nato quarantasei anni fa in Turchia ma ormai perfettamente italiano. Il segreto delle opere di Ozpetek consiste in una formula ormai collaudata, una ricetta vincente. Il gioco funziona così: prendere un personaggio pescato nella società degli emergenti, dei cosiddetti Vip, immergerlo in mondi diversi dai suoi e raccontare. Un viaggio dell'anima, ma anche una proposta di conversione che il regista offre al suo pubblico, un suggerimento di impegno che sottintende la necessità di guardare al di là del proprio vissuto.
Nelle Fate ignoranti, una giovane vedova borghese scopriva un'allegra comunità omosessuale e ne veniva conquistata, nella Finestra di fronte una coppia giovane si imbatteva per caso nella Roma delle persecuzioni razziali e nei segreti che la città ancora nasconde, nell'ultimo, Cuore sacro, una manager viene scaraventata in una realtà sconosciuta da una ladra bambina e con lei inizia a frequentare l'universo dei volontari, la solidarietà, i nuovi poveri che affollano le mense, guidata da un sacerdote semplice. La protagonista, Barbora Bobulova, somiglia alla Bergman di Europa 51 e alla mamma del regista, che «prese in affido un bambino, quando noi eravamo già grandi, e si lasciò trasportare dalla tenerezza». Un film che si è conquistato una pagina intera dell'«Osservatore Romano», il consenso di «Famiglia Cristiana», e diverse stroncature. Le più dure dalle colonne del «Foglio», Anselma Dell'Olio e Mariarosa Mancuso, la critica cinematografica ufficiale del quotidiano. Telefono e telefonino col canto del gallo per suoneria, piazzati in cucina, squillano di continuo. Chiama anche il Quirinale: comunicano l'invito alla cerimonia in occasione del premio David di Donatello. Le dodici nomination per Cuore sacro sembrano cancellare le polemiche che lo hanno messo molto in agitazione: «Molti non hanno retto l'impatto del film. Anche alcuni miei cari amici, all'uscita dalla proiezione, mi hanno confessato che si erano sentiti male, che erano turbati. Ho toccato un tasto che costringe tutti a mettersi in gioco: il vero tumore della società contemporanea è il non saper rischiare per gli altri. Un amico professore universitario mi ha confidato la sua nuova paura: dopo l'euro, c'è anche il pericolo che tanti di noi finiscano a chiedere un pezzo di pane, da vecchi? Forse è proprio così. Ho mostrato con le immagini la realtà delle mense della comunità di Sant'Egidio, dove ormai vanno a mangiare anche tanti ex impiegati, pensionati statali, signore che si portano da casa le posate d'argento. Il sorriso dei volontari, la forza dei sacerdoti, il precipitare nella miseria da un giorno all'altro per uno sfratto o per un licenziamento, sono problemi universali. Come si fa a restare indifferenti? Ogni volta che incontro un barbone, io mi sento in grande imbarazzo». Ozpetek arriva a Roma a diciassette anni, alla fine dei Settanta. Primo incarico nel cinema: «Portare il tè e un biscotto, tutti i pomeriggi alla stessa ora, a Massimo Troisi, sul sei». Assistente e aiuto regista per sedici anni, ha lavorato con Maurizio Ponzi, Francesco Nuti, Ricky Tognazzi, Lamberto Bava, Marco Risi, il regista che ha prodotto il suo primo film, Hamam. Lo hanno incoraggiato e aiutato Gianni Amelio ed Elio Petri: «Mi invitava da Ruschena, un bar sul lungotevere che ora non c'è più, mi comprava un gelato e passeggiavamo insieme, era già malato». Il cinema italiano, in quegli anni, girava pagina. Le grandi proiezioni dell'estate romana, a Massenzio, esaltano e incoraggiano una nuova generazione e, insieme, chiudono una stagione. I film di Nanni Moretti aprono un nuovo capitolo della commedia all'italiana e il giovane apprendista regista, cresciuto con Vittorio De Sica e Rossellini, Pasolini, Pietro
Germi e Scola, va a vedere e rivedere Moretti «per capire le sfumature della vostra cultura. Quando arrivai qui vivevate come in una pentola in ebollizione, tutto era, drammaticamente, in movimento. Avvertivo attorno a me molta curiosità, e una diffusa ignoranza, mi chiedevano sempre se in Turchia avevamo i cammelli. C'era una totale disponibilità ai rapporti umani, ma forse eravamo anche più giovani. Con l' 11 settembre è cambiato tutto. Che ci fosse un piano, per dividerci? Da allora, non siamo più innocenti. Ho sentito e sento, come il santo padre e come tantissimi di noi nati dall'altra parte, il pericolo dello scontro di civiltà. Dopo la caduta del muro di Berlino, temo si innalzino altri muri, invisibili, fra gli occidentali e l'altro lato del pianeta. Rifiutare il mondo arabo, respingere in blocco una cultura, diventare diffidenti perfino nei confronti delle favole, delle Mille e una notte, è davvero un effetto devastante del terrorismo».
E lui? Lo dice sorridendo: «Abbatto i muri mescolando tutte le religioni. Per Cuore sacro ho usato le parole di san Francesco e la predicazione di Mevlana Rumi, il mistico capo dei dervisci turchi suo contemporaneo. Mevlana predicava amore e tolleranza, era nato a Balkh, in Afghanistan, nel 1207. Sai cosa diceva Mevlana? La casa di Dio è il cuore delle persone, chi lo ferisce offende Dio. E ancora, una frase che ho usato nel film: Dio non sta nelle chiese, nelle moschee, nelle sinagoghe, ma con chi soffre». Nei giorni dell'agonia del papa, Ozpetek si è sentito coinvolto, come tutti, «in un momento spirituale universale. Penso anche, però, che sia stato eccessivo lo spazio dato dalla tv alla morte e al lutto, che dovrebbero restare fatti intimi, personali». Mescolare le religioni, le culture, non dividere fra destra e sinistra: «Non amo le etichette, sono schierato con il centro-sinistra, ma ho trovato terribile l'attacco dell' ”Unità” a Francesco Storace: utilizzare un'invenzione su suo padre per colpirlo in campagna elettorale è stato ingiusto. Non sono mai andato ai congressi di partito, mi hanno invitato entrambi gli schieramenti ma ho sempre detto di no». Dei politici di oggi, ama Carlo Azeglio Ciampi, «per la sua stabilità, per il senso dello Stato, per la sua serenità forte», e Walter Veltroni, «per il suo lato umano, per quelle sensibilità che lo fanno sembrare un non politico, che per me è il miglior complimento possibile». Scendiamo in strada e passeggiamo insieme, fino alla pasticceria Andreotti, quasi un ufficio-seconda casa del regista. Le macchine e gli autobus sfrecciano nella confusione del traffico, ma il cuore popolare della città protegge e coccola chi fa il cinema, mestiere artigianale in cui tutti i romani hanno un ruolo, una speranza, una possibilità (le torte della Finestra di fronte le hanno preparate qui e le foto del set, con lo scotch, trionfano, appiccicate alla meglio, sulle vetrine)
Da Registi d'Italia, Rizzoli, Milano, 2006