Joel Coen è un attore statunitense, regista, produttore, produttore esecutivo, scrittore, sceneggiatore, montatore, è nato il 29 novembre 1954 a Minneapolis, Minnesota (USA). Joel Coen ha oggi 69 anni ed è del segno zodiacale Sagittario.
Ha esordito nel mondo del cinema lavorando al montaggio di film horror a basso budget, ha lavorato anche con Sam Raimi prima di cominciare a scrivere sceneggiature con suo fratello Ehtan, produttore di tutte le sue pellicole. La grandezza dei Coen sta nel riuscire a passare da un genere all'altro, mantenendo sempre alto il livello qualitativo delle loro produzioni. Dagli inizi con i Blood simple (1984) e Crocevia della morte (1990), il noir di stampo chandleriano la fa da padrone, nonostante la vena ironica, unico vero comun denominitore delle loro opere, renda anche i gialli molto sui generis. Questo percorso avrà come punta d'arrivo Fargo (1996) inquietante e straniante parabola sulla corruzione dell'animo umano. Ambientato a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta il trittico Arizona junior (1987), Barton Fink (1991) e Mister Hula hoop (1994) conferma la vena creativa, astratta e surrealista dei fratelli culminata con l'Orso d'oro a Berlino del 1998 vinto con Il grande Lebowski (1998), magistralmente interpretato da un Jeff Bridges ispirato. Avvicinatisi persino al musical, Con fratello dove sei (2000), che ha permesso lo sdoganamento di George Clooney come attore di un certo livello, i Coen, inevitabile parlarne al plurale, sono tornati alla grande al noir con L'uomo che non c'era (2001) che riconferma la grande capacità del duo di riunire ogni volta gli attori giusti per le parti giuste: ognuno qui è al "suo" posto, a partire dal camaleontico Thorton, laconico, lucido e silenzioso protagonista di una pellicola d'altri tempi. Le citazioni, altro marchio di fabbrica, si sprecano: tutto il noir classico è presente da Wilder a Lang: c'è la voce fuori campo, c'è il bianco e nero che accentua il mistero e permea il film di una atmosfera fumosa e drammatica: in mezzo ai grandi dubbi si muovono piccoli personaggi in cerca d'autore, barbieri, commercianti, avvocati, tutti avvolti, loro malgrado, in una spirale tragica da cui non emergeranno vincitori. Nonostante il ripensamento del sogno americano sia una costante della loro opera, i Cohen, anche in patria, sono sempre stati osannati dai critici e hanno fatto incetta di premi: Barton Fink (1991) si è aggiudicato nel 1991 la Palma d'oro ed il premio per la migliore regia a Cannes, nel 1996 ancora a Cannes hanno vinto il premio per migliore regia per Fargo che l'anno dopo vincerà anche l'Oscar per la migliore sceneggiatura.
I fratelli Coen hanno ottenuto ormai gli accrediti per far parte dell'Accademia dei maestri o del "leaders directory club" se vogliamo chiamarlo così. Quel gruppo di autori che "devono essere visti". Esce un loro film ed è moda-obbligo-bene-opportuno-andare a vederlo. Diciamo la categoria degli Allen, Stone, Wenders, Scorsese, Almodovar e (pochi) altri. Si tratta di autori "viventi". Vecchi maestri come Altman oppure Lelouch forse hanno solo diritto di cittadinanza onoraria. Joel e Ethan Coen sono consolidati ed emergenti. Mentre altri "maestri" hanno mostrato, nelle ultime stagioni segni di declino o addirittura difficoltà di identità, come Stone e Wenders, i Coen,si potrebbe dire: migliorano. Hanno molte frecce al loro arco, anzi, ai loro archi. La prima è la scrittura: è molto difficile che un regista sappia anche scrivere, scrivere bene davvero. Quasi mai possiede lo spessore e la grana dello scrittore. Joel non la possiede a "quel" punto, ma ci si avvicina. Di tutti i "cineasti" è il più dotato.
Il linguaggio: è attuale ed efficace, e ha una grande prerogativa, lo si vede poco. I fratelli non subiscono il ricatto comune a tanti registi contemporanei, del virtuosismo della macchina. Non si sentono in colpa se un'inquadratura è ferma. Non devono per forza scorazzare avanti, indietro, sopra e sotto fra luci e ombre sempre in movimento. Hanno trovato il miglior compromesso.
Le storie: sono originali senza eccessi. In somma non lo sono ad ogni costo. Per gli autori, del cinema, dei libri, della musica, dell'arte figurativa, è molto difficile esprimere qualcosa di nuovo. Gli spazi sono stati quasi tutti occupati da decenni. Dopo Degas nessuno ha più potuto dipingere ballerine o arlecchini dopo Picasso. Hitchcock ha il suo mondo esclusivo e riconoscibile, Fellini il suo, altri grandi il loro, non accettano intromissioni. Eppure i Coen si sono intromessi. Con discrezione e intelligenza. Fargo evocava Tarantino, ma poi proseguiva di suo.
L' evoluzione: i Cohen non si fermano sulle posizioni. Un po' alla Kubrick. Fanno il thriller seguito dal (come si dice) demenziale, seguito dall'affresco (quasi) in costume. E sempre a salire, nella ricerca e nella qualità. Vediamo quanto resisteranno del "club-accademia".
Li avevamo tanto amati: perché avevano fatto un film noir imprevedibile e originale come Blood Simple - Sangue facile (nel 1984), una buffa commedia come Arizona Junior (1987), la loro personale rilettura di Hammett con Crocevia della morte (1990).
Poi è arrivato il grande successo critico e la messe di premi incassata a Cannes con Barton Fink - È successo a Hollywood (1991) in virtù di un presidente di giuria come Roman Polanski che ama esagerare: e continuo tutt’oggi a nutrire alcune perplessità su un film che mi sembra più brillante che interessante, più sorprendente che coerente, più uno sfoggio di abilità che un discorso concluso. Tanto che, nonostante tutto (citazionismo, Frank Capra, déjà vu, artificiosità) mi piace molto di più Mister Hula Hoop (1994), così coerente, rotondo, logico pur nel suo procedere per paradossi.
I fratelli Coen sono figli di due insegnanti di college. Joel (quello che firma come regista) ha studiato cinema alla New York University. Ethan (il produttore e cosceneggiatore) ha invece studiato filosofia a Princeton. Il primo ha cominciato come assistente di Sam Raimi in La casa (1983) e insieme a Ethan ha collaborato alla scrittura di I due criminali più pazzi del mondo (1985) mentre Raimi in cambio ha partecipato alla sceneggiatura di Mister Hula Hoop: una banda genialoide di ragazzi nati con la cinepresa.
Come l’amico Raimi (che però ha una marcia di follia in più), come Tim Burton (che flirta con il versante fantastico), come Quentin Tarantino (che è il più “incolto” e il più irregolare nell’educazione e nei risultati), Joel e Ethan sono i figli della moderna cineteca del videostore, della cultura cinematografica accumulata da cinefili prima ancora di esserlo. Brillanti e spettacolosamente abili, sorprendenti (qualche volta), sostanzialmente disinteressati a tutto ciò che - attraverso le citazioni, i riferimenti, i modelli - non sia una mise en abîme: un cinema guardato attraverso la rilettura dei suoi generi e dei suoi luoghi deputati. La loro ultima impresa, presentata a Cannes 1996, si chiama Fargo: incredibile a dirsi, una storia vera, nera, semplice, che li conferma abili ma in cerca di una nuova strada.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996
Anche nel loro ultimo film Burn after reading a prova di spia, appena uscito sui nostri schermi, i fratelli Joel e Ethan Coen confermano di essere una coppia eccezionale, capace di raccontare l'attualità, anche la più amara, con piglio irresistibile. gli spettatori ringraziano.
Sedere, petto, occhi, braccia. Sono le quattro operazioni estetiche cruciali a cui Frances McDormand, dirigente di una palestra elegante, vuol sottoporsi a ogni costo. Il personaggio condensa l'ossessione contemporanea della fitness in Burn after reading - A prova di spia, film scritto e diretto dai fratelli americani Joel e Ethan Coen: la più bella commedia dell'anno, divertente, perfetta, piena di star, che prende in giro altre mante del nostro tempo (soldi, sospetto, sesso ori line) ed è ridicola e tragica quanto il nostro mondo.
Per mettere insieme i soldi sufficienti a pagare le operazioni, Frances McDormand (è la moglie di Joel Coen) tenta disinvoltamente e invano col ricatto, cerca di vendere all'ambasciata russa quelli che crede piani segreti americani ma che sono in realtà memorie di un analista della CIA licenziato per alcolismo. Nella sua impresa la aiuta un giovane fisioterapista cretino e buono, Brad Pitt; è coinvolto l'amabile donnaiolo George Clooney, disprezzato dalla moglie medico Tilda Swinton; sono vitti mie gli alti burocrati della CIA, pericolosi perché detestano quei problemi atti a turbare il loro catatonico far niente. Avventure turbolente, risate, paradossi: la commedia è tanto comica quanto intelligente. Una nuova prova d'eccellenza dei registi (Ethan Coen, sceneggiatore e produttore, ha cominciato da poco - dal non molto riuscito Lady killers del 2005 - a firmare pure corre regista insieme con Joel) che hanno avuto un gran successo commerciale e ricevuto l'anno scorso quattro Oscar con il bellissimo Non è un paese per vecchi tratto dal romanzo di Cormac McCarthy (Einaudi).
I Coen sono nel cinema americano un fenomeno unico: i loro film conciliano pubblico e critica, dramma e commedia, raffinatezza e popolarità, pena e ilarità. Nati nei Cinquanta (Joel ha ora 53 anni, Ethan 51) hanno realizzato trentenni il loro primo film Blood Simple, un thriller tossico complesso e cattivo: storia di uno assunto per uccidere una moglie adultera e il suo amante che fotografa i due, trucca le foto, riscuote il compenso e ammazza il marito mandante facendo ricadere la colpa sulla moglie infedele. Più comico il secondo film, Arizona junior, 1987, vicenda di rapimento d'un pugnace bambino piccolo. Crocevia della morte (1990), violento e umoristicamente grottesco, presenta il legame tra politica, affari e criminalità organizzata come un fatto ovvio, organico e non patologico, nel raccontare lo scontro tra un ricco ebreo e un funzionario irlandese nel 1929 senza neppure un personaggio positivo e con alta coerenza stilistica. Barton Fink – È successo a Hollywood (1991) comincia come una commedia satirica su u n giovane drammaturgo chiamato a Hollywood da New York nel 1941, poi «passa al grottesco e finisce in una sanguinosa tragicommedia dell'assurdo» (Morandini).Mister Hula Hoop (1994) è un'analisi sardonica del capitalismo americano e insieme una screwball comedy in stile anni Trenta. Fargo (1996) è il film più classico dei Coen all'insegna dell'umorismo macabro (nel Minnesota uno fa rapire la moglie da due balordi per chiedere il riscatto al ricco suocero, le indagini sono condotte da una poliziotta incinta di sette mesi), restituendo al crimine tutto il suo peso di tremenda imbecillità. Il grande Lebonski (1998) è un irresistibile racconto di nostalgia della giovinezza (i Coen sono ormai quarantenni) attraverso un protagonista vecchio ragazzo degli anni Settanta, «disincantato osservatore della putredine del mondo ma deciso a fare la cosa giusta». Fratello, dove sei? (2000) è una magnifica commedia musicale collocata nel Sud nel 1932 della Grande Depressione, con George Clooney con baffetti e brillantina alla Clark Gable. Un barbiere che per fare soldi prova a ricattare con lettera anonima l'amante di sua moglie è il protagonista de L'uomo che non c'era (2001); seguono due film meno interessanti, come se gli autori avessero deciso di mollare (Prima o poi ti rovino, Ladykillers, 2003 e 2004), prima del magnifico Non è un paese per vecchi.
In 24 anni di carriera, raramente i Coen Hanno sbagliato. Quasi sempre hanno ritratto il mondo contemporaneo (le collocazioni nel 1929 o 1932 hanno soltanto funzioni comiche). Quasi sempre hanno fatto del crimine una attività da gente comune legato alla natura umana, anziché un lavoro da specialisti (gli «specialisti», quando ci sono, risultano dei buffi cialtroni). Sempre hanno raccontato la vita com'è: il riso non esclude le lacrime, la tragedia ha pure un suo aspetto ridicolo, le ragioni per ridere non mancano mai. Quasi sempre hanno scoperto, prima di butti, certi attori (Clooney, Scarlett Joharisson) poi diventati star. Sempre hanno rispettato il diritto degli spettatori a divertirsi. E quasi sempre sono stati, sono, bravissimi.
Da Lo Specchio, Ottobre 2008
Coen Brothers Country
Joel and Ethan Coen, who write, direct, produce and edit their films, do not agree that their latest movie, “No Country for Old Men,” adapted from the Cormac McCarthy novel, is a western. “When we think about westerns,” Joel explained, “we think about horses and six-guns, saloons and hitching posts.” Ethan, who was sitting next to his older brother on the couch in their cluttered college-dorm-like production office in downtown Manhattan, continued the thought. “ ‘No Country for Old Men’ is sort of a western,” he said, “and sort of not.”
At first glance, “No Country,” which is a kind of modern western with almost mythological themes set against the landscape of Texas, would seem to be a surprising fit with the Coens, who are known for dark, almost surrealistic comedies like the Oscar-winning “Fargo,” the Hollywood noir “Barton Fink” and their ode to stoner iconoclasm, “The Big Lebowski.” But “No Country,” like their other movies, allowed them to create unique characters and simultaneously twist a genre. From the start of their career, with the film “Blood Simple” in 1984, the Coens have consistently reinvented conventional types of cinema by tweaking and reimagining instantly recognizable archetypes. In “No Country,” Javier Bardem plays an unstoppable, coldblooded killer with an existential streak. Though he is not described this way in McCarthy’s book, the Coens pictured him with a Prince Valiant haircut and a fastidious style of dress — a potentially stock cinematic character transformed into a new western classic. “He’s like the man who fell to earth,” Joel suggested. “He’s the thing that doesn’t grow out of that landscape.”
The West was built on transplants, on men and women who sought to redefine themselves in a land of opportunity. Since many of their movies are set in that part of America, the Coen brothers have observed and then reimagined many of those strivers, weirdos, beauties, believers and would-be prophets. From Holly Hunter’s baby-nabbing cop in “Raising Arizona” to Sam Elliott’s philosophical cowboy in “The Big Lebowski,” the Coens have created, again and again, instantly iconic creatures of the West. In this portfolio, photographed by Finlay MacKay, we sought to further the adventures of those Coen-devised personalities.
“We still want to make a real period western,” Joel said. “With no cars and in black and white. But it might be a little narrow.” Ethan nodded. “ ‘No Country’ was kind of like a genre thing, but in a genre thing the characters end up differently,” he said. “ ‘No Country’ is perverse. And we always like something perverse.”
Javier Bardem: Tom Ford shirt and three-piece suit. Patrick Cox shoes. Kelly MacDonald: Dean Harris necklace. Burberry dress. Location: The Cherry Tavern, New York. Jeff Bridges: Giorgio Armani blazer. Barneys Co-Op T-shirt. Loro Piana sweat pants. Tod’s shoes. Holly Hunter: Alberta Ferretti nightgown. Christian Louboutin shoes. Jon Polito: Sheriff uniform from Western Costume Company. David Thewlis: Dolce & Gabbana jacket, shirt, tie and shoes. Levi’s Jeans. LaCrasia gloves. Aimee Mann: Yohji Yamamoto coat. Levi’s jeans. Ann Demeulemeester belt. Production coordinator: 3star Productions. Tim Blake Nelson: Polo Ralph Lauren shirt, vest and henley. Tara Reid: Dolce & Gabbana bathing suit and handbag. Marc Jacobs coat. Cesare Paciotti sandals. Christian Dior vintage sunglasses. Production coordinator: 3star Productions. John Turturro: Ralph Lauren Purple Label vest. Polo Ralph Lauren glasses. Location: The Royal Oak, Brooklyn. Sam Elliott: John Varvatos USA thermal and shirt. Julianne Moore: BluMarine jacket. Jean Paul Gaultier dress. LaCrasia gloves. Christian Dior earrings. T. Anthony suitcases. Location: The Diamond, Brooklyn. Steve Buscemi: Band Of Outsiders suit. Marc Jacobs tie. Thom Browne shirt. Vintage shoes. Styled by Bruce Pask. First assistants: Gabriel Hutchison and Jacob Krupnick. Second assistants: Adam Cohen, Michael Malinski and Nils Friedman.
Fashion Associates: courtney a. weinblatt and Bifen Xu. Hair by Paul Leblanc, David Cox. Groomers: Diana Schmidtke, Catherine Furniss, Katey Denno and Wesley O’Meara. Makeup: Elaine Madelon, Elizabeth Ulloa and Scott Andrew. Set coordinators: Michael Fisher and Linda Sena.
Da The New York Times, 11 novembre 2007