Molto britannico, di famiglia operaia, Alan Parker dopo anni di spot pubblicitari per la tv ha debuttato con un’idea originalissima e balzana, Piccoli gangster (1976), dove i gangster avevano statura e corpo da bambino, per conquistare subito fama mondiale con un film che è stato un successo popolare immediato, Fuga di mezzanotte (1977). Il suo stile era segnato: quello di un cinema senza finezze ed esitazioni, forte, violento, spettacolare, sempre - o quasi sempre - definibile attraverso un tema scottante: la repressione, il razzismo, i giovani, la droga, la pazzia, la corsa al successo.
Proprio con Saranno famosi cominciava nel 1980 la sua carriera americana, in cui si allineano alti risultati come Birdy - Le ali della libertà (1984), giallo-neri sanguinolenti come Angel Heart - Ascensore per l’inferno (1987), che, anche nella sua grossolanità, rivela una notevole capacità di invenzione, Mississippi Burning - Le radici dell’odio (1988), un filmone solido ma un po’ troppo semplificante sul razzismo nel profondo Sud americano, e Benvenuti in Paradiso (1990) che, sotto la crosta del mélo interrazziale, è invece un bel film sul crogiuolo etnico e sul pregiudizio.
Per fare il suo film più bello degli ultimi anni e uno dei più belli che siano stati fatti sul sogno del rock, The Commitments (1991), Parker si è trasferito a Dublino e ha lavorato sul libro di Roddy Doyle. Negli Usa è rientrato per un ritratto del salutismo americano - Morti di salute (1994) - che ha mancato tutti i bersagli del divertimento, della leggerezza, delle risate, per cadere in una scatologia senza invenzione. Nel 1996 realizza non senza suscitare polemiche Evita, tratto dall’omonimo musical di Andrew Lloydd Webber, protagonista Madonna.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996