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Rassegna stampa di Al Pacino

Al Pacino (Alfredo Jacob Pacino) è un attore statunitense, regista, produttore, produttore esecutivo, sceneggiatore, è nato il 25 aprile 1940 a New York City, New York (USA). Al Pacino ha oggi 84 anni ed è del segno zodiacale Toro.

PINO FARINOTTI
MYmovies.it

Di famiglia siciliana, Pacino ha fin da piccolo la passione per la recitazione. La madre, dopo il divorzio dal marito, fa di tutto per aiutarlo. Comincia col teatro sperimentale poi studia alla High School of Performing Arts. Fa ogni genere di lavoro e a metà anni '60 entra all'Actor's Studio. Nel 1969 debutta al cinema con Me, Nathalie di Fred Coe. Nel 1971 è già attore protagonista in Panico a Needle Park di Jerry Schatzberg, il ruolo è quello di un drogato che ha una relazione con una prostituta. Piccolo, capelli neri, sguardo duro ma anche melanconico, Pacino interpreta pochi film ma in tutti riesce a mettere una sua impronta personale. Nel 1972 ottiene la sua prima candidatura all'Oscar con Il Padrino di Francis Ford Coppola, dove è il figlio di Don Vito Corleone (Marlon Brando). Un anno più tardi lavora ancora con Jerry Schatzberg per l'ottimo Lo spaventapasseri dove interpreta un ex carcerato che fa amicizia con un barbone (Gene Hackman). Sempre nel 1973 è il famoso poliziotto Serpico nel film di Sidney Lumet e viene candidato ancora all'Oscar, cosa che si ripeterà nei due anni successivi per Il Padrino parte II di Coppola e per Quel pomeriggio di un giorno da cani di Lumet. Maniacale come Dustin Hoffman, e per un certo periodo verrà paragonato al collega, Pacino si trasforma nei vari personaggi risultando sempre convincente. Nel 1977 il primo passo falso: è protagonista di Un attimo una vita di Sydney Pollack con Marthe Keller. Si dedica allora al teatro e quando ritorna al cinema nel 1979 con ...E giustizia per tutti di Norman Jewison, viene di nuovo candidato all'Oscar. Nei panni dell'avvocato da un'altra prova del suo grande talento e della gamma di personaggi variegati che è in grado di interpretare. Nel 1980 è talmente realistico in Cruising di William Friedkin, dove è un poliziotto che indaga negli ambienti "gay" e si interroga sulla propria normalità, che cominciano a spargersi voci giornalistiche sulla sua possibile omosessualità. Il teatro comunque rimane la sua àncora di salvezza e al cinema decide di tornarci con un film umoristico Papà sei una frana (1982) di Arthur Hiller. Dopo qualche disavventura, ritorna a un enorme successo di pubblico con il film Seduzione pericolosa (1989) un giallo di Harold Becker. Seguono nel 1990 Dick Tracy di Warren Beatty, che gli fa ottenere un'ennesima candidatura all'Oscar come non protagonista, e il ritorno con Francis Ford Coppola per Il Padrino parte III. Ora, reduce dalla bella prova in Insider, vive appena fuori New York, sull'Hudson e, ogni venerdì, quando non è sul set, si fa un poker con gli amici. Il teatro gli è rimasto nel cuore: ha vinto un Tony (l'Oscar delle scene) per The basic training of Paulo Hummel e sta lavorando ad un piccolo film, molto teatrale, che prevede la sua regia: Chinese coffee. Intanto, diretto da Oliver Stone, è sugli schermi con l'intenso Any given sunday, Ogni maledetta domenica, la forte pellicola sul football americano. Al Pacino va giustamente accostato a Dustin Hoffman: in due, hanno cambiato per sempre il modo di essere attori in America. Influenzando, naturalmente, il mondo intero.

LIETTA TORNABUONI
La Stampa

AIfredo Pacino, 65 anni, A nato a New York ha tutte le caratteristiche fisiche dei suoi genitori, nonni, bisnonni siciliani: bruno, grandi occhi neri patetici, poca statura, corpo mingherlino. Come attore è cambiato, nel corso del tempo e della sua relazione con l’attrice Beverly D’Angelo: se prima (come tanti allievi anche tardivi dell’Actors’ Studio) aveva una recitazione interiore, sottotono, mormorata, adesso è estroverso, narcisista, declamatorio, a volte soprale righe. La sua dedizione nel prepararsi ai personaggi è leggendaria: contatti con persone e con l’ambiente sociale relativi, letture, analisi, studi, ricerche. Deve aver fatto questo lavoro anche per Il mercante di Venezia di Michael Radford, tratto dal testo teatrale di Shakespeare ambientato a Venezia nel XVI secolo: in un film fedele e scrupoloso, la sua presenza come protagonista nell’intreccio di avidità spietata, soldi, debiti, cavilli della legge e dell’amore, è straordinariamente efficace, grande.

MAURO GERVASINI
Film TV

Al Pacino è uno dei più grandi attori della storia del cinema. Non sembri, l’affermazione, né avventata né provocatoria. Sappiamo di cosa sia capace, di quale vasta gamma di “maschere”sappia fare proprie, di quanto possa illuminare una scena con un sorriso o un cruccio, un ghigno o un eccesso. Un divo, sì, ma di New York, quindi non troppo assuefatto alle luci della ribalta e alla polvere di stelle del pianeta Hollywood. Un gigante ancora capace di tornare sulla terra, mettersi in discussione, misurarsi con i propri limiti. Ha diretto un film, Looking for Richard, che parla di questo: di come un attore siculo-americano, che quando passa per Little Italy qualcuno ancora chiama “Alfredo!“, nonostante la celebrità e i riconoscimenti, si senta per sempre “figlio di un Dio minore”. Perché recita nella lingua di Shakespeare ma deve ogni volta dimostrare di esserne degno. E tuttavia, certi personaggi gli restano appiccicati addosso. È il destino dei grandi attori quello di vivere in simbiosi con i propri ruoli. Michael Conleone, Lyon e Serpico, Carlito Brigante, Roma e Tony Montana, Vincent e Bergman, le facce dei suoi capolavori assoluti, Il Padrino (I, II e III) di Francis Ford Coppola, Lo spaventapasseri di Jerry Schatzberg, Serpico di Sidney Lumet, Carlito’s Way di Brian De Palma, Americani di James Foley, Scarface di Brian De Palma, Heat e Insider di Michael Mann. Esisterebbero senza i colori, l’intensità drammatica, la sapienza del gesto ora essenziale (Corleone) ora plateale (Montana) che proprio Pacino ha infuso, “comunicato”? Non ne vogliamo fare l’agiografia, perché anche AI arriva dallo stesso Actor’s Studio dell’amico De Niro, bravo quanto lui e forse di più, e proprio come De Niro è stato capace di piegare il Metodo alle peggiori interpretazioni. Se uno di questi mostri sacri sbaglia “immedesimazione“, calcando la mano e scivolando nell’overacting, rischia la pornografia, come è successo a Bob con Risvegli e soprattutto Flawless. Anche Pacino ha rischiato di parodiare se stesso, per esempio in Ogni maledetta domenica di Oliver Stone, dove è il coach tutto mossette e gigionerie; e l’unico Oscar l’ha vinto per il ruolo sciagurato e senza misura del cieco di Profumo di donna, remake del classico di Risi-Gassman che più modesto non si può. Ma in fondo si è fermato sempre un po’ prima di apparire ridicolo. Rispetto a De Niro ha fatto più gavetta, è rimasto in ombra per quasi un decennio (gli anni ‘80), ha saputo ricominciare dal teatro e dalle parti in medie e piccole produzioni (ottimi Seduzione pericolosa e Paura d’amare). Insomma, non si è creduto Dio. E ci piace pensare che forse, ormai appagato, non accetterebbe con la medesima cupidigia del collega qualunque sciocchezza Hollywood gli proponga. Il 25 aprile Pacino compie 65 anni. Cosa aspettarsi ancora da lui? Forse un altro ruolo memorabile da aggiungere alla galleria dei vari Corleone e Montana, quello di Moe Snyder, l’impresario sciancato che negli anni ‘20 amò in modo furibondo la cantante Ruth Etting. Racconterà la loro storia Torch di Harold Becker, scritto da Paul Schrader, remake del melodramma Amami o lasciami di Charles Vidor. Dove la stessa parte era di James Cagney, un altro mostro sacro con il quale misurarsi. La sfida, per Al, non finisce mai.

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