Cary Grant (Archibald Alexander Leach). Data di nascita 18 gennaio 1904 a Bristol (Gran Bretagna) ed è morto il 29 novembre 1986 all'età di 82 anni a Davenport, Iowa (USA).
Archibald Alexander Leach, questo il vero nome di Grant, nato a Bristol in Gran Bretagna il 18 gennaio 1904, era figlio di Elsie Kingdom Leach che, quando Cary aveva 9 anni, fu ricoverata in una clinica per malattie mentali. Un evento tragico, che segnerà la vita dell'attore, reso ancora più drammatico dal fatto che la circostanza gli venne a lungo nascosta e Grant riuscì a rivedere la mamma solo dopo molto tempo. A quindici anni abbandona la scuola e si unice alla compagnia di saltimbanchi di Bob Pender, falsificando abilmente la firma di suo padre per l'autorizzazione. Diventa acrobata, funambolo, attore da music hall e gira le province dell'Inghilterra a seguito della compagnia. Nel 1920 va a New York per partecipare allo spettacolo Good Times a Broadway: sono gli anni in cui Grant si guadagna da vivere facendo molti mestieri finché, nei primi anni Trenta, riesce a strappare un contratto alla Paramount come caratterista.
A 27 anni è a Hollywood, che dopo l'arrivo del sonoro cerca nuovi attori. Raccomandato da Mae West con cui aveva lavorato in Non sono un angelo, piace a Frank Capra che lo trova 'decorativo e spiritoso', e finisce per assumere lo pseudonimo che diverrà il suo vero nome quando molto più tardi prenderà la cittadinanza americana, Grazie a film come Venere bionda di Sternberg, con Marlene Dietrich, Il diavolo è femmina di Cukor, Susanna di Hawks, Grant acquistò una solida reputazione di attore brillante. Da allora, insieme alla sua partner preferita, una scatenata Katharine Hepburn, si rese interprete di gag indimenticabili che hanno caratterizzato il momento d'oro della commedia hollywoodiana classica, contrassegnata da leggerezza, brio e armonia in uno schema che riesce a sdrammatizzare i conflitti della società americana afflitta dalla crisi degli anni '30. Su di lui mette gli occhi anche Alfred Hitchcock intuendo che la classe di Grant si adatta benissimo a raccontare le sue emozioni da brivido: Notorious, Il sospetto, Caccia al ladro, Intrigo internazionale sono altrettanti episodi della fortunata collaborazione.
Il suo successo è talmente travolgente (un intervistatore gli disse un giorno che tutti al mondo volevano essere Cary Grant. ''Anch'io'', rispose lui) da ispirare lo scrittore Ian Fleming che proprio al volto di Grant pensò creando il suo personaggio più famoso, James Bond. Con un altro regista, Stanley Donen, Grant realizza altri successi come Sciarada, L'erba del vicino è sempre più verde e Indiscreto con Ingrid Bergman, la sua partner ideale con cui si era ritrovato al fianco anche per Notorious. Tuttavia nel 1966, nel pieno del successo, Grant annuncia l'intenzione di ritirarsi dalle scene per aprire una fabbrica di cosmetici. Una decisione maturata da tempo sia per la convinzione che il cinema si stesse appassionando troppo a un realismo che lui amava poco, sia per la sensazione di non essere mai stato pienamente apprezzato: solo due nomination agli Oscar, nel 1942 e nel 1945, e una statuetta alla carriera nel 1970. Entrato nel consiglio d'amministrazione delle Western Airlines e della Mgm, presidente della Fabergé, ormai miliardario, Grant progetta impianti urbanistici con scrupolo ecologico, vantandosi di non avere ricavato alcun vantaggio finanziario dal matrimonio con la miliardaria Barbara Hutton.
Sul versante attoriale, dopo l'annuncio del ritiro (il suo ultimo film è Cammina, non correre di Charles Walters), Grant torna al teatro, il suo primo amore, ed è proprio sul palcoscenico che muore per infarto, nel 1986, accanto alla quinta moglie Barbara Harris, mentre recita nel suo spettacolo An evening with Cary Grant all'Adler Theater di Davenport, nello Iowa.
Tutti (o quasi: esistono anche gli irriducibili partigiani di Fred Astaire) sostengono che è stato l’uomo, o almeno la star, più elegante del mondo. E lo pensano i, anche gli autori della più recente guida allo stile maschile pubblicata in Inghilterra quest’anno, che lo sfoggia in copertina, sorriso ironico sulle labbra e perfetto gessato addosso. Molti, distratti dallo charme dell’uomo, sotto-valutano le sue qualità di attore anche se uno degli storici del cinema più feroci e critici, David Thomson, si spinge a definirlo con qualche enfasi «l’attore migliore e più importante della storia del cinema». Per tutti è stato ed è un volto amato e simpatico, che vuol dire Hitchcock, che vuol dire Hawks, che vuol dire divertimento allo stesso tempo popolare e sofisticato.
Sarà sempre presente nel nostro piccolo pantheon personale anche perché appena appare sullo schermo un bel giovanotto dotato in eguale misura di charme e senso dell’umorismo (vedi i vari suoi epigoni attraverso gli anni, da Burt Reynolds a George Segal, da uno che gli contende la palma dell’attrazione come Sean Connery al clone più recente, George Clooney) gli viene appiccicata l’etichetta di suo erede, e ci costringe ai confronti.
Archibald Leach nasceva, molto inglese, molto middle class, il 18 gennaio 1904 a Bristol, e cresceva con qualche dolore (vedete cosa si nasconde dietro gli assi della commedia sofisticata?), perché sua madre, quando lui ha nove anni, viene colta da una depressione terribile e sparisce dalla scena, in un istituto psichiatrico, per non uscirne mai più. Sarà per questo che il ragazzo Archie ha problemi a scuola? Sarà per questo che se ne scappa (con il papà che chiude un occhio) per unirsi a una troupe di girovaghi, e poi torna, e poi scappa, e diventa un dio dei trampoli e un clown sperimentato?
Fatto sta che a sedici anni l’elegante ragazzino sbarca negli Stati Uniti, si dà al teatro leggero e al musical (sa cantare), sviluppa acrobazie, piroette, salti mortali. Dicono che sia stata questa la scuola del suo stile, fatto di tempi millimetrici e di leggerezza- ma di leggerezza ambigua. C’è sempre in Cary Grant (che diventa ufficialmente tale per decisione hollywoodiana nel 1931, nel film This is the Night), dietro la sua facciata brillante, un guizzo di nevrosi, di incertezza, di non totale sicurezza, di dubbio. E c’è la sua volontaria ambiguità di essere sì un uomo seducente, quello che le donne vogliono e gli uomini vogliono imitare, ma capace di incrinare questa seduzione con i travestimenti (lo ricordate come ausiliaria in Io sono uno sposo di guerra?), con le parti più improbabili e assurde, con goffaggini ben programmate. Scelta brillante e anticonvenzionale di Hollywood: quando mai si è visto un uomo così bello nelle situazioni in cui mettono Cary Grant?
C’è, nell’uomo Cary Grant, una capacità di understatement rara (“Sono stato stupido fino ai quarant’anni, un attore noioso, chiuso in se stesso”) e molta lucidità: “Essere se stessi è difficile ma essenziale. Una volta cercavo di essere Noel Coward... Ci ho messo tre anni, tre anni sprecati.. Noel Coward è grande nel fare Noel Coward, ma la parte che io faccio meglio è quella di Cary Grant”). C’è la consapevole scelta di essere, come osservava Alvise Sapori qualche anno fa in un suo bel saggio, non il seduttore ma il sedotto, un uomo oggetto ante litteram. D’altra parte la svolta nella sua vita cinematografica si è prodotta proprio quando Mae West, nel 1932, lo scelse per la sua commedia Lady Lou: dopo averlo visto negli studi della Paramount la temibile signora disse, a quanto sembra: “Se sa parlare, lo prendo”. Sedotto, una volta di più, e felice.
La sua carriera hollywoodiana, unica anche perché spesso condotta da freelance, fuori dallo studio system, è durata trentaquattro anni di successi e l’ha lasciato di buon umore e capace di divertirsi anche nel suo nuovo ruolo di spokesman per la Fabergé e di conferenziere brillante. Da Howard Hawks a Alfred Hitchcock, da Gorge Cukor a Stanley Donen, da Il magnifico imbroglio a Intrigo internazionale, da La signora del venerdì a Sciarada, è stato il protagonista del miglior cinema hollywoodiano quando il cinema era inteso come gioco e divertimento non futile.
Gli hanno regalato alcune battute memorabili («Se devi uccidere qualcuno, fallo con semplicità», da Il sospetto). Ha lavorato accanto alle attrici più belle e più brave— da Katharine Hepburn a Irene Dunne, da Ingnd Bergman a Grace Kelly, da Audrey Hepburn a Sofia Loren a Deborah Kerr — con cui si concesse una delle sue poche parentesi patetiche che si ricordino, in Un amore splendido. Ha avuto l’onore di mettere nel vocabolario la parola «gay», in una celebre battuta di Susanna, quando, indecorosamente vestito di una vestaglia femminile, dichiara di essere diventato improvvisamente «gay» (termine sfuggito al censori dei codice Hays proprio perché ancora non abbastanza usato da sollevare sospetti). Ha trattato con leggerezza cose serie e con serietà cose leggere (e, a questo proposito, è curioso notare come proprio lui, che nella vita è stato sposato cinque volte, con relativi divorzi, abbia spessissimo arpeggiato nei suoi film sul tema dei rapporto coniugale, finendo per fare l’apologia di una istituzione con cui continuava a litigare nella vita).E, a disdoro di Hollywood, non ha mai preso un Oscar se non quello, tardivo, alla carriera.
Da La Repubblica, 10 gennaio 2004
Old movies — I’m talking about those made before the 1970s — come to us in packages these days. The producers of DVDs and the programmers of repertory theaters look for themes and contexts that will help to make sense of these films for the several generations of culture consumers who are likely to find them utterly strange. Or if not to make sense of them, put them in a framework where their assumptions and devices can be sold to younger moviegoers as hip or camp rather than laughably archaic. Hence the weeks or boxes of film noirs or screwball comedies, or of the careers of directors with distinctive, easily cataloged styles.
To put on a Cary Grant series — as the BAMcinématek is doing from Monday through Aug. 20 with 17 films, and a second batch to follow in 2010 — presents some special challenges. Grant made more than 50 movies as a leading man, but the only thing that ties them together is that they starred Cary Grant, playing some version of his man-of-the-world persona, or of himself, which seemed to amount to the same thing.
He had his screwball period and his Hitchcock period, each of which produced several great, giddy entertainments (like “The Philadelphia Story” and “North by Northwest”). But he avoided entire genres that didn’t suit him, like noir or the western, and much of his output consists of the sort of mainstream light comedy or melodrama that seems most dated today.
It’s brave of the Brooklyn Academy of Music to be showing the 1941 weeper “Penny Serenade,” a hit at the time and an important moment in Grant’s career. But when Grant and Irene Dunne smile as their adopted child says she wants to be an angel before next year’s Christmas pageant, the howls will be heard across Fort Greene.
And yet Grant is worth watching, even in something as preposterous as “Penny Serenade,” and he makes the film worth watching too. (Well, almost. It helps that Edgar Buchanan is around to play the crusty older friend.) As Pauline Kael pointed out in her famous essay “The Man From Dream City” in 1975, most of Grant’s movies were mediocre or worse, safe choices made by a powerful but cautious actor who exercised an iron control over his own image. In putting together a Grant program of any size, it would be impossible to avoid some of these clunkers, and the academy’s series has its share, including the plodding 1942 comedy of ideas “The Talk of the Town” and “That Touch of Mink” (1962), in which he was the aging playboy to Doris Day’s aging virgin.
But the winners and Grant’s performances in them are such an important constituent of our feelings about American movies and about an entire style of American life in the ’30s, ’40s and ’50s that we forgive any number of failures. The character he created and then lived in for decades, a seemingly effortless production that was actually the result of years of practice and refinement and discipline, was an ideal of the ascendant American male (as observed by a young immigrant Cockney vaudevillian): urbane but athletic, absurdly handsome but self-effacing, a joker who could be a bit of a cad, even a little cruel, but would always do the right thing in the end. As Kael formulated it, he was the man women wanted and men wanted to be.
It was a magic act that he would perform across four decades, which is the most startling fact of his career. The academy’s series covers that evolution, from screwball classics like “The Awful Truth” (1937) and the splendid “Holiday” (1938) to his romance with a 25-year-old Grace Kelly in “To Catch a Thief” (1955), when he was 51. (It also includes two of his earlier appearances as a slightly thuggish male ingénue, in the 1932 “Blonde Venus” with Marlene Dietrich and the 1933 “I’m No Angel” with Mae West.)
In our time much has been said about the ability of men like Jack Nicholson and Robert Redford to play romantic leads long past the expiration dates faced by their female counterparts. Grant, who died in 1986 at 82, not only pioneered the practice; in movies like “To Catch a Thief” and “North by Northwest” (1959), which the BAMcinématek will show next year, he also made it believable in a way that no one has since approached.
Being an object of desire does not necessarily mean being the center of attention, and Grant was willing (or smart enough) throughout his career to register almost as a supporting player in his films, to cede the stage to his female co-stars in a way that contemporaries like Spencer Tracy and Clark Gable did not.
It’s another reason that a Grant series can seem amorphous: in the academy’s lineup, “Holiday” and “The Philadelphia Story” (1940) are Katharine Hepburn films; “The Awful Truth” and “Penny Serenade” are Irene Dunne films; “Only Angels Have Wings” (1939) is remembered primarily for Rita Hayworth and Jean Arthur; “To Catch a Thief” for Kelly.
But none of those films would have been as charming or as satisfyingly adult, and none of the actresses as witty or desirable, without Grant’s presence. His in-on-the-joke sincerity, his not-quite-throwaway lines, the bits of physical business — the dancing way in which he kicks a door in “Holiday” or his graceful glide across the terrace as the gendarmes approach at the beginning of “To Catch a Thief” — serve less to glorify him than to flatter the intelligence of the women who can’t do without him.
That might be the best reason to watch Grant today. Kael noted in 1975, during his lifetime, that it was impossible to imagine Grant in the macho action and crime films that were beginning to dominate Hollywood. It’s equally impossible to imagine him in the soggy, misogynistic, stealth-macho geekfests that pass for romantic comedy now. Watching him is to be reminded of a time when intelligence, grace and self-containment were their own rewards. The 21st century, so far, hasn’t deserved him.
Da The New York Times, 31 Luglio 2009
Colui che è stato probabilmente il più grande attore hollywoodiano e più di ogni altro ha immortalato sullo schermo l'immagine della raffinatezza e del fascino americano era in realtà un inglese nato in un'umile famiglia di Bristol con il nome di Archibald Leach. Il mondo lo conobbe come Cary Grant quando divenne la star prediletta dai massimi registi hollywoodiani, e ignorò che la sua nuova identità non riuscì mai a esorcizzare i tormenti di una vita segnata da contraddizioni e lati oscuri, e da un perenne conflitto con l'establishment cinematografico- Un'appassionante biografia appena uscita negli Stati Uniti adopera di Marc Eliot, segue minuziosamente le tappe della carriera e della sua vita privata, a cominciare dagli anni di Bristol, quando il padre, che lavorava in una sartoria, gli disse che la mamma era morta di cancro. Archibald dall'epoca aveva nove anni. Eliot ci racconta che il bambino visse la notizia con un dolore che lo segnò per il resto dell'esistenza, che si trasformò in sgomento e quindi in rabbia quando scopri, dieci anni dopo, che la madre era ancora viva, ed era stata internata in una clinica psichiatrica dal padre, stanco delle sue crisi di nervi e voglioso di convivere con un'amante. Fu la futura star a prendersi cura della donna, alla quale rimase attaccato visceralmente fino alla fine dei suoi giorni
Quando la compagnia di girovaghi con la quale lavorava fece una tournée negli Stati Uniti, si convinse che quello sarebbe stato un primo momento a New York, dove calcò con scarso successo il palcoscenici di Broadway. La svolta avvenne quando vinse un provino con la Paramount che lo mise sotto contratto per cinque anni e gli impose di cambiare il nome in Cary Lockwood. Lui riuscì ad impone il cognome Grant e accettò ruoli di contorno con star come Mae West e Marlene Dietrich, La sua bellezza elegante, l'innata raffinatezza e l'ironia con cui sapeva risolvere anche i momenti di massima tensione lo portarono all'attenzione dei maggiori produttori dell'epoca, che cominciarono a corteggiarlo al momento della scadenza del contratto con la
major. Grant ebbe il coraggio di mettersi in proprio, garantendosi una carriera segnata da scelte effettuate in prima persona, ma anche l'esplicita ostilità dell'industria,che gli lasciò massima libertà sullo schermo, ma gli negò scandalosamente l'onore dell'Oscar.
Il libro di Eliot si dilunga su come Archibald Leach abbia tentato per tutta la sua esistenza di diventare l'affascinante Cary Grant, e ricorda il turbamento con cui un giorno dichiarò di aver «finto per tutta la vita di essere qualcuno fin quando non mi resi conto di essere diventato quella persona immaginaria». Nei cinque matrimoni che hanno contraddistinto la sua vita sentimentale cercò un surrogato della figura materna, ma la relazione più importante, anche Eliot lo conferma, fu probabilmente quella omosessuale con Randolph Scott, che aggiunse altri motivi di attrito con l'industria cinematografica. Secondo il biografo c'è molto di vero nella voce secondo cui il matrimonio con Virginia Cherrill venne studiato a tavolino permettere a tacere i pettegolezzi.
E certamente inquietante il legame di complicità che nacque in quel momento con il capo della FBI Edgar J. Hoover, Eliot mostra dei documenti che suggeriscono che anche il matrimonio successivo fu combinato, ma questa volta per motivi di carattere politico.
La nuova moglie Barbara Hutton, erede miliardaria dell'impero Woolworth, era infatti sospettata di essere una finanziatrice dei nazisti, e Grant si sarebbe prestato a sposarla per passare informazioni all'FBI in cambio della cittadinanza americana e dell'esenzione dalla leva obbligatoria. Furono gli anni in cui si impegnò a girare anche un film di propaganda anti-nazista (Fuggiamo insieme) e divenne amico di Howard Hughes, con cui scomparve per cinque giorni a bordo del suo aereo personale, e riapparve in compagnia del presidente messicano quando si era già sparsa la voce che l'aviatore miliardario e l'attore fossero rimasti vittime di un incidente di volo.
Nel corso della sua lunga carriera Grant divenne l'interprete ideale per registi diversi come Hitchcock, Curtiz, Hawks, Cukor, Donen e Capra, lavorando al fianco delle più grandi attrici di Hollywood. Anche quando decise di variare il proprio personaggio (fu Hitchcock a rivelarne più di ogni altro il lato oscuro, giocando perfidamente sui presunti legami spionistici), mantenne intatto il fascino basato sul fatto di essere la persona da conquistare sullo schermo e l'oggetto dei desiderio cui anelano anche dive di primissima grandezza.
Il libro minimizza gli aneddoti sulle presunte storie d'amore (dalla Bergman alla Loren ad lrene Dnne) e di pettegolezzi che hanno circondatogli anni dei declino fisico (dall'uso dell'LSD al violento rapporto con la quarta moglie Dyan Cannon), e si concentra invece sui documenti e sui personaggi che lo conobbero da vicino: se David Thompson è d'accordo con Howard Hawks nel definirlo «il migliore e più importante attore della storia» Pauline Kael dichiarò che «ti rende felice solo a guardarlo» e lo definì «l'uomo della città dei sogni». L'entusiasmo è condiviso da Hitchcock («un regista non dirige il meraviglioso Gary Grant, ma si limita a mettergli di fronte la macchina da presa lasciando che il pubblico si identifichï con lui») e da Capra, che individua il suo longevo carisma nella combinazione tra l'avvenenza fisica e la leggerezza dei talento comico. Hollywood cercò di farsi perdonare con un tardivo Oscar alla carriera nel 1970.
Da La Repubblica, 1 novembre 2004